Il romanzo di auto-fiction di uno scrittore indiano trapiantato in Olanda come Ernest van der Kwast non poteva che parlare di viaggi. E infatti in Mama Tandoori tutto inizia da due valigie, quelle che la mamma in questione si porta dietro nel suo lungo viaggio: un personaggio, il suo, che non si dimentica facilmente
di Alessandra Minervini
Mama Tandoori è imparentata con Firmino o Zia Mame. Due romanzi con i quali l'opera di Ernest Van der Kwast, giovane indianOlandese trapiantato in Italia (Bolzano), non ha nulla in comune. A parte la vena comica e il fatto che, come i precedenti, è diventato, con il passaparola, un piccolo fenomeno editoriale. Un romanzo di qualità, di cui i lettori attivi non potevano non accorgersi. E per chi ancora non ci crede (che leggere questo romanzo fa bene alla salute) ci pensiamo qui. Adesso.
Veena è una donna piena di difetti, il cui unico pregio è essere la madre di qualcun altro. Per questo è sorprendente scoprire quanto si è disposti ad amarla (tanto). Nata a Bombay, lascia l'India per trasferirsi in Olanda dove inizia la sua storia, con due valigie sotto il letto. Tutto cominciò con due valigie. "Mia madre arrivò in Olanda nel 1969 con due valigie piene di bracciali, collane e orecchini. Affittò una stanza in una casa di riposo, dove iniziò a lavorare come infermiera. Nascose le valigie sotto il letto, secondo gli indiani il posto più adatto per custodire oggetti di valore. Una volta mia madre mi confidò: 'I ladri non guardano mai sotto il letto'. Mio padre mi sussurrò all’orecchio: 'In India quasi nessuno ha un letto'...".
Veena vende il contenuto delle valigie per acquistare la prima casa dei coniugi Van der Kwast, in un quartiere residenziale di Rotterdam dopo estenuanti trattative con l'agente immobiliare: “Contrattare per lei era un hobby, anzi, più precisamente uno sport”.
La storia dei Van der Kwast è la storia di una famiglia con una mamma a dir poco imbarazzante, capace di minacciare chi non è d'accordo con lei con un matterello da cucina. Una mamma che della chioccia ha soltanto la corazza, indistruttibile. Anche di fronte al dolore, commovente, per la nascita di un figlio con un grave handicap mentale. Un dolore che Mama Tandoori negherà fino ad amarlo in modo incondizionato, come solo una donna disperatamente afflitta sa fare.
Il romanzo viaggia sui binari dell'autofiction, tra il romanzo famigliare e quello di formazione. Lo stile sagace e pieno di ritmo ricorda quello di Hanif Kurieshi ai bei tempi de Il Budda delle periferie. Il ritratto di una famiglia dalle mutevoli i(n)diosincrasie ai tempi della periferia multietnica e dell'individualismo multitasking.
Leggere Mama Tandoori è doppiamente necessario. In generale perché ci fa sorridere della vita in un momento in cui c'è veramente poco da ridere; e, in particolare, è un romanzo necessario per l'estate. Niente di meglio del matterello di Mama Tandoori potrà difenderci dalle litanie del caldo (d'estate fa caldo, ma va?) e/o dagli speculari drammi causati dai temporali estivi (a volte piove, ma va?). Questo romanzo va bene sempre. Sotto l'ombrellone e sotto l'ombrello.
Tags: Alessandra Minervini, Ernest van der Kwast, Firmino, Hanif Kurieshi, india, ISBN, Mama Tandoori, Olanda, recensione, Zia Mame,
Ernest van der Kwast, Mama Tandoori, 280 p, 15,90 euro
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