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POLITICA

Una protesta di marca

I recenti fatti di Pomigliano hanno portato a galla tutte le contraddizioni del nuovo rapporto padrone-lavoratore. Tra una Stampa sorprendentemente attenta alle ragioni dei sindacati e un'opposizione che non vuole opporsi, sulle magliette della Fiom spunta anche il marchio LEGEA


di Peppino Ortoleva


La discussione sulla fabbrica di automobili di Pomigliano d'Arco e sul conflitto sindacale intorno alla proposta di contratto della FIAT è arrivata presto a toni paradossali. La FIAT stessa, e alcuni giornali, hanno fatto a gara nel presentare il dissenso di un sindacato, la FIOM, non come un fenomeno fisiologico ma come il nemico da battere sul campo; e hanno cercato di fare della rispettabile ma comunque minoritaria percentuale ottenuta dai no un segnale di “ingovernabilità”.
 
Proprio il giornale della famiglia Agnelli, La Stampa, anticamente detta büsiarda dagli operai di sinistra, si è dimostrato più attento alle ragioni del no - della FIOM ma soprattutto di una parte importante della base operaia - di quanto abbiano fatto tanti quotidiani indipendenti, quasi a dimostrare che la parola “padronale” ha cambiato parecchio, nel tempo, di significato; nel mentre l'opposizione (te pareva) rinunciava di fatto a prendere posizione, per non scontentare né la CGIL né la CISL, entrambe parte della coalizione scombiccherata che continuiamo a chiamare Partito Democratico.
 
Un conflitto importante per il futuro dell'economia e della democrazia sindacale italiana è stato e viene combattuto, insieme, nell'estremismo dei toni e nella confusione degli schieramenti.
La fotografia che vedete è un ulteriore paradosso. Magliette della FIOM, cioè del sindacato-guida della posizione anti-FIAT, che sopra uno slogan classico da lotta dura senza paura (richiamo diretto al classico Frangar non flectar), esibiscono una “firma” aziendale, quella di una ditta di abbigliamento sportivo, la LEGEA di Pompei.
 
La scelta della LEGEA per strana che possa apparire (un'impresa capitalistica che sponsorizza la posizione più critica verso l'impresa...) è più coerente di quanto si possa pensare. E' coerente con la politica generale della LEGEA in materia di sponsorizzazione, se è vero, come si legge su Wikipedia, che tra le (molte e in crescita) squadre di calcio che esibiscono il suo marchio si trovano anche Iran, Corea del Nord e Zimbabwe. Stati “canaglia” dal punto di vista della politica occidentale, ma ottimi partner in termini di visibilità, anche proprio per la stranezza di quella griffe sulle maglie di paesi generalmente visti come lontanissimi non solo dai valori del mercato ma anche e soprattutto dai piaceri decadenti della moda, sportiva e non. Una scelta astuta, si può immaginare, anche in termini di costo/beneficio: il costo della sponsorizzazione di squadre così “marginali” è sicuramente inferiore rispetto a quelli imposti da nazionali più note e più tradizionalmente presenti nelle competizioni internazionali.
 
Dalla Corea del Nord alla rossa FIOM: tutti comunisti direbbe Berlusconi. Quello che conta però non è la vicinanza ideologica, più apparente che reale (il regime del settantenne Kim Il Jong, che pare si appresti a passare il potere a un suo figlio come lui l'ha ricevuto da suo padre, è uno dei casi di monarchia assoluta dinastica più estremi che siano rimasti nel mondo) quanto, ancora una volta, la visibilità. Stare dentro gli eventi. Farsi notare, anche, o soprattutto, scegliendo una collocazione non ovvia. Nella situazione attuale del mercato, del resto, scelte di questo tipo sembrano destinata a conoscere nel tempo una crescente fortuna: una delle conseguenze più dirette e immediate della crisi è stata il taglio complessivo dei budget destinati alla pubblicità, e questo produce una fuga di molti investitori dai canali più tradizionali (come la TV e i giornali, che stanno subendo un danno gravissimo da queste tendenze) verso canali non-convenzionali, proprio in cerca di costi bassi e alta visibilità. A costo di puntare su un'audience relativamente “di nicchia”: ma ormai è chiaro che di una somma di “nicchie” è sempre più fatto il mercato.
 
Meno coerente potrebbe sembrare la scelta della FIOM di accettare un brand sulle proprie magliette. Quando gli operai LEGEA della vicina Pompei entreranno in sciopero, viene da chiederci, non peserà negativamente sulla CGIL questo segnale, se non di connivenza con il padrone, quanto meno di collaborazione extra-sindacale? Forse. Ma non c'è in ogni caso da scandalizzarsi. Gli organi di stampa della stessa CGIL, e di tutta la sinistra, non vivono anche di pubblicità? Il manifesto, quando nacque, annunciò orgogliosamente che avrebbe pubblicato solo inserzioni di case editrici, come se la pubblicità di libri fosse moralmente diversa dalle altre. Ha da tempo cambiato politica.
 
La verità è che la FIOM, contrariamente a quanto sembrano pensare molti dei suoi detrattori, non si batte per la soppressione del capitalismo e del mercato: ci vive dentro, come tutti noi. Con determinazione, ma anche con realismo. Il marchio LEGEA viene indossato proprio come lo fanno le squadre di calcio: non è una guerra, ci si augurerebbe una sana e corretta competizione.



Tags: cgil, cisl, fiat, fiom, griffe, lavoro, legea, manifestazione, marca, operai, Peppino Ortoleva, pomigliano d'Arco, protesta, sindacati,
24 Giugno 2010


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