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TEATRO

La sperimentazione stagnante

Nell'interessante spazio del Teatro della Contraddizione a Milano, vanno in scena nella stessa serata due spettacoli piuttosto deludenti: Kaneus della Compagnia Frakkasso, contro la mercificazione del corpo femminile, e Primo amore di Farenheit 451, che rievoca l'inizio di una storia gay


di Anna Colafiglio


Entriamo pieni di belle speranze nell’accogliente spazio del Teatro della Contraddizione, e il primo impatto con quest’ambiente piccolo e versatile lascia presagire il meglio; ma si sa, quando si hanno delle ottime aspettative la delusione è ancora più forte.

Il primo spettacolo di questa serata a doppia programmazione è Kauneus, devozione alla bellezza, della genovese Compagnia Frakkasso. Kauneus inizia bene, benissimo, non fosse per l’irrefrenabile tendenza a scivolare nei meandri del “già visto” sin dal secondo quadro. La mercificazione del corpo femminile che diviene carne al macello, il bisturi come macellaio, il mercato degli schiavi e la società dell’immagine. “Devo essere carina, devo essere gentile, devo essere bella”. Si parla di gusto dell’orrido e del fascino che questo esercita, Francesca Caso accumula abiti, si sveste, si trasforma di volta in volta in quelle figure che creano ripugnanza per scoprirne il fascino, la “bellezza imperfetta”; l’intenzione è forte, ma l’operazione non riesce. Alcune scene, considerate da un’ottica puramente visiva (apprezzabilissima, s’intende), sono belle e d’effetto; ma la retorica di fondo, sebbene a tratti ben mascherata, è nel complesso un po’ pesante da sorreggere. 
 
Si prosegue con Primo amore di Letizia Russo (premio Ubu nel 2003 con Tomba di cani come migliore novità drammaturgica), un violento monologo scritto nel 2005 per la rassegna di teatro omosessuale Garofano Verde. Un uomo torna al paesello in cui è nato, stereotipata realtà in cui “la gente parla” e la mentalità ha quella grettezza che non conosce possibilità di redenzione. Vagando per i luoghi della sua giovinezza, l’uomo si confronta con i ricordi rimossi dei tempi andati e, giunto in un bar, riconosce dietro il bancone colui che a quindici anni gli aveva fatto conoscere l’amore. Parte quindi con una trafila di iracondi pensieri rivolti al povero cameriere panciuto, invettive contro la sua incapacità di reazione, contro i genitori (ai quali più volte augura la morte), fino all’apoteosi dello “avrei dovuto ucciderti”, rivolta all'amore di un tempo, per impedirgli di diventare quello che è diventato, così tutti l'avrebbero ricordato giovane e bello come un dio.
 
La cosa strana e potenzialmente interessante è che il monologo è interpretato da una donna, Laura Nardi: lontana anni luce dall’uomo che porta in scena, l’attrice ha (visibilmente, bisogna riconoscerlo) compiuto un lavoro notevole per entrare nel testo e calibrarne ogni passaggio. La Nardi si dimena sulla scena scarna, parla (o, purtroppo, recita) con la voce graffiante e la smorfia cattiva del coraggioso ribelle. Il personaggio è rodato, ma resta, comunque, tale: una macchietta intrappolata nelle cadenze fuori luogo della recitazione propriamente detta. Già dalle prime battute incombe la nube nera dell’impostazione accademica, mascherata dalle urla reiterate, l’isteria, le smorfie ridondanti e l’ostentata veemenza del parlato. 
 
Ad onor del vero, il pubblico è in tripudio: lo spettacolo piace molto, gli applausi si protraggono a lungo. Quanto a noi, apprezziamo la volontà di sperimentare, ma apprezziamo un po’ meno i meandri stagnanti nei quali una fetta (ahinoi, molto larga) del teatro sperimentale odierno ha irrimediabilmente gettato l’ancora: i concetti di “sperimentazione” e “innovazione” che tanto allietano i discorsi dei teatranti d’oggi, sempre più spesso si risolvono in un palcoscenico vuoto, delle urla disumane e degli oggetti di scena che volano per aria.



Tags: Anna Colafiglio, compagnia frakkasso, Farenheit 451 Teatro, kaneus, laura nardi, primo amore, teatro della contraddizione, teatro sperimentale,
19 Febbraio 2010

Oggetto recensito:

KANEUS DELLA COMPAGNIA FRAKKASSO E PRIMO AMORE DI Farenheit 451

Dove e quando: Milano, Teatro della Contraddizione, fino al 21 febbraio
Kauneus: Compagnia Frakkasso, Genova; da un’idea di Francesca Caso; regia di Valeria Mazza e Francesca Caso; testo di Valeria Mazza; in scena: Francesca Caso; voce recitante: Mirko Revoyera
Primo amore: Farenheit 451 Teatro, Roma; testo di Letizia Russo; regia di Luigi Saravo; in scena: Laura Nardi; luci di Hossein Taheri
Occhio: merita attenzione la programmazione di ampio respiro internazionale che caratterizza la “Stagione sperimentale europea” del Teatro della Contraddizione, quest’anno giunta alla sua decima edizione

giudizio:



1.08
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Commenti

Leggo adesso i vostri

Leggo adesso i vostri commenti, ai quali rispondo con piacere. Comincio specificando che un testo teatrale, in quanto tale, è scritto e pensato in funzione di una rappresentazione scenica: per quanto un personaggio possa essere sviluppato e "onesto" nelle intenzioni, la messa in scena è la prova del nove che permette di constatarne l'efficacia effettiva. Alla luce di questo, spero risulti ben chiara l'impossibilità, per me, di definire "onesto" un personaggio che mi è apparso finto sulla scena. Avrei potuto scandagliare il testo, entrarci dentro ed estrarre significati, ma a quel punto lo spettacolo sarebbe passato in secondo piano...e, di certo, questo non rientrava tra i miei scopi. Estremizzo, sperando di rendere l'idea: a quanti terribili Shakespeare o Beckett abbiamo assistito fin'ora? In Primo amore, nella fattispecie, ritengo che l'impostazione della recitazione abbia reso il personaggio poco credibile; nonostante la verità e la semplicità delle sue parole, esso mi è apparso innaturale, finto. E la finzione non va di pari passo con l'onestà. Quella che voi chiamate "superficialità" è stata, dal mio punto di vista, solo una presa di coscienza (e, perchè no, una messa in rilievo) del limite concreto di una fruizione ottimale. A teatro ciò che conta è la scena: non solo il cosa si dice, ma anche, soprattutto, il come lo si dice. Trovo che non si possa assolutamente prescindere da quest'ultima componente. Ho comunque riconosciuto la portata, visibile e indubbia, del lavoro che la Nardi ha svolto sul testo, nonchè l'approvazione pressochè unanime che ha ricevuto dal pubblico. Ma questi elementi non bastano per dare una valutazione positiva di uno spettacolo. E' ovvio che si tratta di un mio parere, in quanto tale opinabile; le critiche sono sempre ben accette, se servono a generare una discussione costruttiva. Un cordiale saluto Anna Colafiglio

sono rimasto colpito dalla

1.08

sono rimasto colpito dalla terribile recensione da lei scritta. Terribile non certo per il modo ineccepibile, stilisticamente parlando, col quale ha portato a termine un'analisi, a mio modo di vedere, estremamente superficiale. la mia sensazione, col pieno rispetto delle sue idee, è che lei ha deliberatamente colto solo gli aspetti di facciata dei due spettacoli. Specie per "primo amore", ridurre ciò che ho visto a delle semplice urla e un dimenarsi (anche un po' fastidioso, aggiungerei) è quanto di più inaspettato pensavo di poter leggere. Il mondo è bello perchè è vario; così si dice, no? Però le urla ed il dimenarsi vero, sono quelle interne di quel bellissimo e combattuto personaggio. "violenza" che ti colpisce per la delicatezza e, allo stesso tempo, la durezza, di quel uomo (donna?) che rimpiange l'amore perduto, il primo amore perduto. Difficilmente capita di vedere spettacoli che rendono qualcosa di così umano in una maniera più semplice e, allo stesso tempo, piu' vera. Ecco questo mi è spiaciuto leggere nel suo articolo, il fatto che non ha minimamente colto quanto fossero veri quegli spettacoli. Poi le cose possono piacere o meno, ma constatarne l'onestà era, a mio modo di vedere, un fatto dovuto. Cordiali Saluti. AA

Credo chiunque abbia diritto

Credo chiunque abbia diritto alle proprie opinioni. La cosa che mi colpisce, però, è che sembra che si tratti di aver visto un'altra cosa. Retorica?? Macchietta?? Indubbiamente di critiche ce ne sarebbero da fare, ma quello che non capisco è lo sguardo fin troppo saccente di chi, distante, giudica le cose in modo superficiale. Credo che nelle cose bisognerebbe andarci dentro, estrarle, capire. Si eviterebbe di guadare (guardare è ben diverso da osservare, percepire, pensare...) superficialmente, appuntandosi qua e là "macchiette", "urla" e "retoriche di fondo".

Con doveroso rispetto. MB

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