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ARTE MODERNA

Il Moderno ieri e oggi

Mentre la crescita dell'industria plasmava il gusto della borghesia novecentesca, avanguardie artistiche e artigianato creativo si stimolavano e completavano a vicenda. La mostra in allestimento alla Fondazione Ragghianti di Lucca è un tentativo di riattualizzare il patrimonio italiano precontemporaneo


di Riccardo Bonini

Alberto Savinio, I re magi, 1929


Fragile, elegante, orgogliosamente legato al proprio passato, remoto o recente. Sono alcuni dei tratti eterogenei che interessano il carattere nazionale italiano, che si riversano nell’affascinante assunto La Forza della Modernità per Fondazione Ragghianti, Lucca.
L’Italia indubbiamente non è un Paese votato al contemporaneo, forse non può esserlo (malgrado gli sforzi e i tentativi), forse invece lo è stato, ma solo in un passato remoto. Nelle sue vene scorre piuttosto il sangue del moderno e lo si riconosce bene in quella che dovrebbe essere una delle città simbolo dell’avanguardia nazionale, Milano. Il tradizionale collezionismo artistico del capoluogo lombardo, ad esempio, si è sempre orientato in modo massiccio all’arte moderna, che ne è divenuta predellino portante. Motivo, tra gli altri, che ha sempre impedito a MiArt di decollare come fiera d’arte nel panorama contemporaneo internazionale. Diventa quindi ancora più interessante analizzare il caso di un’esposizione che pone sotto la propria lente uno dei più significativi sussulti di contemporaneità del Novecento italiano.
 
foto (3).jpgLa premessa è fuori dai confini nazionali. Il movimento Arts & Crafts nacque (in Inghilterra) anche in reazione alla dilagante crescita dell’industrializzazione di fine Ottocento, nel tentativo di salvaguardare l’alto valore dello standard intellettuale legato all’ideazione del manufatto artigianale. Diventa allora impossibile non cogliere la dimensione etica di una mostra che riflette sulla personalissima declinazione italiana di quella che può essere considerata la peculiare impronta d’origine del disegno industriale (che fiorirà - e deperirà - nei decenni del boom industriale successivi alla guerra).  Riportandola all’attenzione in un contesto storico contemporaneo, si evidenzia una grave scollatura tra l’impianto riflessivo e intellettuale (alla base - in teoria - dell’ideazione di qualunque oggetto) e il successivo approccio realizzativo. Si tratta di una forte materia di riflessione anche nel merito di recenti dibattiti sulla riabilitazione del cosiddetto ‘lavoro manuale’. Continuamente chiamata in causa come soluzione di mille mali, la professione manuale perde gran parte del proprio appeal, appare una definizione scollegata che più che interessare spaventa chi è abituato a riflettere. Scompensi probabilmente derivati da quella che lo scrittore Romolo Bugaro ha definito “una strana mitologia del lavoro”. (sopra a sinistra, Vaso Prospectica di Gio Ponti, 1925)
 
Come si legge nel comunicato stampa: "Il tema è appunto la forza della modernità, intesa come spinta inarrestabile di ricerca e di innovazione, talvolta infarcita di nostalgie e ripensamenti del patrimonio classico, ma in un'ottica di trasformazione moderna dell'arte italiana, talaltra pronta ad abbracciare scelte più radicali, dalle ironiche e potenti sperimentazioni futuriste, alle scelte geometrico/monumentali di matrice novecentista fino all'esaltazione della materia e di una sorta di proto informale".
 
Se c’è un obiettivo che l’esposizione raggiunge con pieno merito, è appunto evidenziare il radicato rapporto di complementarietà tra riflessione artigiana e sviluppo delle arti visive durante la prima metà del Novecento, tra la plasmazione di un gusto borghese, sempre più diffuso e consapevole, e inconsueti sperimentalismi sulla materia, la cui influenza diretta anche sulle discipline artistiche sarebbe apparsa ampiamente verificabile nei decenni immediatamente successivi. I pezzi di Afro e Vedova a conclusione del percorso stanno lì proprio a testimonianza di questa sorta di ‘passaggio di consegne’.  La circoscrizione temporale (1920-50) è anche il cuore principale dell’evento, che si concentra con più attenzione - meglio chiarirlo - sui decenni ’20/’30.
 
A venire evidenziato è dunque soprattutto il coraggio della contaminazione, il tentativo di sviluppare congiuntamente struttura intellettuale e progettualità artigianale, e da questo punto di vista l’impianto curatoriale, che ne sottolinea interessanti spigolature, parallelismi e caratteri autonomi, è molto competente e ben strutturato, e testimoniato da una pregevole documentazione cartacea. Il problema dell’oggetto ripensato e ricollocato, l’arte decorativa al suo massimo splendore (emblematici in questo caso i pannelli e le decorazioni di Galileo Chini per le Terme Berzieri di Salsomaggiore), sguardi sulle divertenti, spesso geniali (re)invenzioni di Giò Ponti e Bruno Munari si accompagnano alle struggenti firme di Casorati e alla ricchezza della produzione plastica di Arturo Martini. Come dire: voltarsi indietro, leggermente. Uno sguardo alle spalle, verso il futuro.



Tags: artigianato, Arts & Crafts, industria, La forza della modernità, lucca, mostra, recensione, Riccardo Bonini,
21 Maggio 2013

Oggetto recensito:

La forza della modernità, Fondazione Centro Studi Sull’Arte Ragghianti, Via San Micheletto 3, Lucca

A cura di: Maria Flora Giubilei e Valerio Terraroli
 
Orari:
tutti i giorni, dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19, lunedì chiuso. In luglio e agosto: tutti i giorni dalle 16 alle 20, lunedì chiuso.

Ingresso: 5 euro, 3 euro ridotto

Catalogo: bello, da avere. Da avere, anche a 30 euro.
 
Moderno italiano, le tappe obbligate: Milano (gli esempi si sprecano), Terme Berzieri di Salsomaggiore (PR), Faenza (Museo Internazionale della Ceramica, una delle collaborazioni di spicco dell’allestimento)

giudizio:



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