Il film di Kathryn Bigelow che ha trionfato agli Oscar torna in qualche sala e su Sky. L'Iraq come emblema dei conflitti moderni, in cui non si capisce chi è il nemico e soprattutto qual è la parte giusta
di Andrea Ferrari
La guerra non è più la partita a scacchi che Napoleone giocò contro l’Europa intera, e neanche quella degli scontri giganteschi e terribili del '40 tra le sabbie del nord Africa e nelle steppe russe, non assomiglia neppure più a quella del Viet Nam, dove un nemico intermittente, ma organizzato e ben strutturato, tenne testa per anni alla prima potenza del mondo.
Adesso la guerra si vive raso-terra in un contesto in cui non si capisce più dove e chi sia il nemico, così sfuggente da rendere inutili le raffinatezze tecnologiche di un esercito tradizionale.
Sul fronte delle motivazioni le cose vanno anche peggio. Una volta, almeno, era chiaro chi fossero i cattivi: Hitler era cattivo, gli americani erano buoni, poi, in Indocina, sono diventati loro i cattivi, ma almeno tutti sapevano essere una sola cosa alla volta. Dove sono i buoni in Iraq? Era buono Saddam Hussein? Certo che no, ma il rimedio è stato forse peggiore del male. Questa guerra, la guerra di oggi, è una specie di coito interrotto dove non esiste la battaglia risolutiva e così l’aggressività rimane inespressa - o espressa a casaccio - sedimentando alla fine dentro chi la combatte come “…un vecchio rimorso o un vizio assurdo”.
E’ questa l’idea che ci trasmette The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, Oscar 2010 per il miglior film dell’anno (in onda su Sky, dopo una fugace apparizione nelle sale italiane nell'ottobre 2008 e un ritorno che si prospetta altrettanto breve in questi giorni).
Non aspettatevi le scene grandiose del Soldato Ryan e neanche la potenza di Apocalypse Now. Questa volta Hollywood si è allontanata dall’idea del kolossal bellico, restituendoci un immagine della guerra in Iraq fedele all’originale grazie anche al soggetto di Mark Boal, giornalista che quella guerra l’ha vissuta veramente.
Niente cariche di cavalleria, dunque, né duelli aerei nel cielo della Normandia o battaglie di incrociatori nel Mar dei Coralli, ma soldati che si avvicinano in punta di piedi a trappole esplosive seminate da persone insospettabili: ragazzini, ometti, bottegai. Così la guerra perde definitivamente la sua dimensione epica, se mai ne avesse avuta una, entrando a pieno titolo nella categoria delle cose incomprensibili, come a volte sanno fare gli incubi.
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The hurt locker, di Kathryn Bigelow, Usa 2008, 131 m.
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