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FILM

Io sono l'amore, un quadro perfetto

Il regista palermitano Luca Guadagnino racconta le passioni che sconvolgono i Recchi, famiglia dell'alta borghesia lombarda. La trama è esile ma il fascino delle immagini e l'eleganza dello stile rubano la scena anche al cast.


di Andrea B. Previtera


Poi mi infilo il cappotto ed esco dalla sala il prima possibile, con addosso un’angoscia indefinita. Un’angoscia che mi ha raggiunto già con i colori delle prime inquadrature e che non ha allentato la morsa nemmeno per uno dei centoventi minuti di proiezione.
Perchè qualcosa mi convince a cominciare dalla fine a parlare di questo film di Luca Guadagnino, regista e sceneggiatore di Io sono l’amore. Un film da quattro soli che si fanno tre nel momento stesso in cui le virtù premono oltre il margine dell’eccesso, fortunatamente senza rompere mai l’argine. 
 
Quali virtù? Una perfezione tecnica che schiaccia il cast e relega sullo sfondo anche la trama. Qualcosa mi ha convinto a cominciare dalla fine, e in effetti, a pensarci bene, le dipendenze di questa pellicola sono quasi inverse: la scelta degli interpreti e, ancora di più, la sceneggiatura si arrendono al servizio della realizzazione visiva. Quella di Guadagnino è una storia che avrebbe potuto essere oggetto più di un cortometraggio da quindici minuti che non di una produzione a doppia ora. Famiglia milanese estremamente abbiente, storia d’amore senza alcuna speranza - ma con tre momenti chiave: e questo è quanto. Poi mi infilo il cappotto ed esco il prima possibile dalla sala, ma prima ci sono quei centoventi minuti di nodo alla gola, di fiato corto.
 
Ogni inquadratura è un’opera d’arte di ricercatezza ed eleganza assolute, dal taglio della scena alla scenografia, all’angolazione di una telecamera che sposta molto più che un semplice punto di vista posizionale. La ricerca del colore e dell’impasto della fotografia pesca a piena mani dai trabocchetti emotivi della pittura. Il montaggio scandisce i tempi irregolari di un cuore inquieto: ora concede un apparente respiro, ora lo spezza all’improvviso. La colonna sonora di John Adams è un capolavoro di minimalismo, che raccorda e contiene l’insieme in un’ennesima inversione strutturale, detta legge con potenza e a volte sembra quasi spingere corpi ed eventi.
 
Il solo vero appunto, ad un film che regala al cinema italiano ancora qualche passo a testa alta, va mosso a questa sorta di spavalda consapevolezza di essere bello. Così, ecco affastellarsi spudoratamente inquadrature su inquadrature, a riempire i vuoti di un contenitore troppo ampio per un racconto intenso ma breve (e cogliamo comunque lo spunto per un ulteriore “bravo”: persino le scene di sesso – spina delle spine nei fianchi di ogni regista - hanno un sapore diverso, un certo quid).
 
Poi mi infilo il cappotto ed esco il prima possibile dalla sala, e mi ricordo che – ah, sì - ci sono anche gli attori: Tilda Swinton, soprattutto, ed Edoardo Gabbriellini. Non hanno colpa dell’essere poco più che le due figurine in nero sullo sfondo dell’Urlo di Munch. Se hanno qualche lamentela da fare a riguardo, vadano a bussare a casa Guadagnino, e speriamo che lo ritrovino già all’opera su un’altra tela.



Tags: Andrea B. Previtera, cinema italiano, Edoardo Gabriellini, fotografia, Io sono l'amore, John Adams, Luca Guadagnino, luci, pittura, Tilda Swinton,
07 Aprile 2010

Oggetto recensito:

Io sono l'amore, di Luca Guadagnino, Ita 2010, 120 m.

giudizio:



7.02
Media: 7 (6 voti)

Commenti

non scrivere telecamera per

non scrivere telecamera per favore. si dice macchina da presa

Suvvia.

Suvvia.

Balliamo, è tanto tempo che

Balliamo, è tanto tempo che non lo facciamo (dall'altro titolo d'eccellnza mi pare, "A Single Man")

Alla tua ed alla mia stessa recensione aggiungo allora una postilla, un pensiero pruriginoso che non rovinerà niente della trama disvelandosi peraltro (se c'è poi qualcosa da disvelare) in un paio di scene: il cuoco, ha o no un'iniziale infatuazione per il rampollo dei Recchi? C'è qualcosa nel tono che gli usa, e poi più avanti nello scoprire che questi sta per convolare a nozze - che mi ha lasciato immaginare un'ulteriore sfumatura nel racconto iniziale di Guadagnino da cui poi il film è stato tratto.

Malizia o rapimento?

Luca,oppure

Luca,oppure Guadagnino,toglici questo dubbio che prima non mi aveva sfiorata

  Un altro giretto di

  Un altro giretto di danza,apprezzato ed amabile   Previtera?Giusto per pignolare sui tre soli e suggerirne prudenzialmente due trionfalmente estivi,al ritmo de" I tempi cambiano ,MA L'AMORE NO?"

IO SONO L’AMORE , di Luca Guadagnino , con Tilda Swinton , Alba Rohrwacher , Flavio Parenti , Edoardo Gabbriellini , Pippo Delbono . Italia 2009 , 120 minuti

 “ I tempi cambiano , virgola , amore” dice ad un certo punto del film una giovane  promessa sposa , alla moda ma senza classe , e quindi destinata a far dirazzare definitivamente una  grande famiglia altoborghese , compostamente inconsapevole di essere sull’orlo di un precipizio. E’ vero che i tempi cambiano,e nemmeno evolvono progressivamente,bensì vanno avanti e indietro, rivisitandosi e ripresentandosi spesso in forma diversa . Fin dai suoi primi passi , infatti , il film ricorda Teorema di Pasolini -1968 - : una grande famiglia cosmopolita e altoborghese , un patriarca , un'azienda,la terza generazione di padroni , una certa  servitù che  è parte intrinseca della genealogia , l’amore e  il  sesso che ,irrompendo , cambiano ogni  scontato equilibrio . E poi , allora come adesso , Milano. Una Milano sorprendentemente bellissima , sia sotto la neve che non , ma comunque lì a fare da involucro come un uovo di quaglia bianco e grigio , perfetto , stilizzato , con una placenta che non schiude nulla  , ma circoscrive il Gruppo alla sua unica  dimensione di realtà : la propria. Poi , a poco a poco , la città  si porta sullo sfondo , e il gruppo si apre , ancora anchilosato su se stesso , e punta le gambe come i puledri alla nascita . E muove i primi passi . Perchè la padrona di casa , la bellissima Tilda Swinton , almeno qui non sacrificata alla sua solita delicata ,ma anche scialba androginia , s’innamora di un coetaneo del figlio , che fa il cuoco . Pur nel senso più modernamente artistico del termine .  E tutto questo avviene mantenendo la straordinaria qualità delle immagini , che andando dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo , dall’acciecamento alla sfocatura , dall’ipercolorazione alla trasparenza , riesce  a narrare compiutamente una passione della carne , lungamente preparata da antichi vuoti di senso .  La parabola poi accelera , accompagnata temporalescamente da una appropriata colonna sonora . E il miracolo dell’estetica di questo film riesce a rendere esplicito , ma al tempo stesso irrilevante  , il precipitare wagneriano e scontato   degli eventi , prestati da Grand Hotel a Vogue , senza che il film cada nell’ovvietà parodistica . Perchè il regista sa mantenere ben salda la barra estetica , come una scia d’olio a sè stante , dove  il racconto scivola per conto suo , quasi dissociandosi , senza deturpare nè offendere . E qui torniamo a Teorema  ,che si differenziava fondamentalmente per il pesante carico di assunti e di messaggi che portava con sè : dall’erotismo come conoscenza al misticismo , dalla lotta di classe alle suggestioni de La morte di Ivan Il'ich . Adattando lo schematismo alto e dimostrativo del libro ad un film a tratti poetico a  tratti frigido,ma comunque disuguale,però con tocchi di invenzioni straordinarie ,e messaggi a sfare,come le colombe di Pasqua sotto Pasqua . Mentre l’attuale pellicola non ha messaggi : o meglio , se messaggio c’è , si riassume nel titolo . E in questo senso sì i tempi cambiano . Qui l’amore , sia omo che etero non fa scandalo in sè , ma buca semplicemente proprio quella placenta esistenziale che abbiamo citato all’inizio , e in cui ognuno s'avvolge , per fortificarsi e difendersi mediante le abitudini consolidate di un clan di ricchissimi  intoccabili. Un film per gli occhi  e per le orecchie  , dunque, senza retrogusti nè retro interpetazioni , in cui la trama è un pretesto per il montaggio,  la fotografia , la scenografia , la colonna sonora e i costumi - le donne hanno tutto quello che il rango esige e sconsiglia  da sempre - a cui è affidata la parte veramente “inventiva” dell’opera . E senza preziosimi estenuati ed estenuanti .  Non so più chi aveva detto che i grandi film sono tali , quando ad ognuno di loro si assegna con precisione il ricordo del momento dell’uscita dal cinema . A noi con questo non è  capitato , ma eravamo d’altronde senza cappotto .  Seguiremo con attenzione le prossime mosse di Guadagnino , perchè non sappiamo ancora  se sia  nato un “regista vero”. Certo si è presentato qualcuno a cui affideremmo volentieri l’album di fotografie della nostra vita . Considerato che ne abbiamo una sola ,che snobisticamente non abbiamo album,ma anche che ce ne freghiamo del kitsch , non è  comunque  poco.

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