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FILM

La fiaba de Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

E' un'opera visonaria e intrisa di tradizione quella del thailandese Lo Apichatpong Weerasethakul, vincitore del premio della giuria di Cannes diretta da Tim Burton. Per godervi il suo cinema dovrete sgombrare il campo da ogni aspettativa e permettergli di immaginare anche per voi


di Andrea B. Previtera

 


Cambiamo le regole: questa non può essere propriamente una recensione. Questa deve essere più che altro una guida. Una breve guida per affrontare Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, riciclabile forse per una certa categoria di pellicole che se una volta erano confinate oltre remote barriere distributive, sempre più sono destinate a raggiungerci.
 
Lo scavalcamento di queste barriere ci porta in Asia. Ma un’Asia assai poco occidentalizzata: dimenticate Takeshi Kitano, Akira Kurosawa o persino Ang Lee. Qui stiamo parlando dell’Asia della campagna thailandese - dove atmosfere da mezzadria di ricordo pirandelliano si mescolano alla convivenza più o meno scontata con spiriti ed ombre di varia estrazione. 
 
Un cinema di inquadrature statiche, tempi dilatati e dialoghi rarefatti – come a creare un pettine tra i cui denti lo spettatore possa interlacciare le proprie visioni, le proprie riflessioni, a quelle del regista. E quelle di Lo Apichatpong Weerasethakul sono visioni nel vero senso della parola: un flusso di coscienza senza particolare consequenzialità, in cui discernere la direzione del tempo o degli eventi è non solo difficile, ma anche irrilevante e sconsigliabile – come guardare in basso mentre si attraversa un burrone.
 
C’è qui tutta una vertigine di ingenuità da fiaba della buonanotte, appena virata da simbolismi religiosi: buddhismo, reincarnazione. E poi, l’incanto è rotto qua e là all’improvviso con inserti della realtà più cruda: accenni agli scontri armati tra guerriglia rossa e governo, al problema dell’immigrazione clandestina, alle difficoltà di un sessantenne in dialisi.
 
boonmee.jpgChe cos’è dunque questo cinema, qual è la sua estetica, la sua ragione? E’ il cinema del candore e dell’abbandono, del raccontare liberamente una storia – nell’accezione più semplice del termine, ripulita da ogni sovrastruttura. Quasi il cinema, in un certo senso, dei primi vagiti di celluloide del 1900, del possedere un mezzo narrativo e dunque farne uso come capita - e basta.
 
Quindi, come pupazzi messi in mano ad un bambino, un figlio trasformato in uomo scimmia dagli occhi fiammeggianti e il fantasma di una moglie morta da anni appaiono al protagonista - che non si scompone affatto, anzi li invita a sfogliare insieme un album di fotografie. Questo è il cinema di Weerasethakul, e non stupirà a questo punto che la presenza di Tim Burton nella giuria del Festival di Cannes si sia risolta in palma d’oro per Lo zio Boonmee.
 
Non pensate di recarvi al cinema per assistere ad una narrazione con un prologo, uno svolgimento ed una conclusione. Non immaginate esattamente qualcosa di fiabesco, non immaginate qualcosa di esotico, non immaginate qualcosa di introspettivo. Non immaginate. Non aspettatevi una morale, un colpo di scena, una “trovata”. Aspettatevi una lunga poesia un po’ grezza – ma neanche questo. E’ tutto quello che possiamo dire de Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti. Dire, ma senza giudicare, come è giusto che sia quando ci si trova un passo indietro da quella linea di confine che separa un prodotto dalla semplice arte fine a se stessa.



Tags: Andrea B. Previtera, asia, buddhismo, cinema orientale, Lo Apichatpong Weerasethakul, Lo zio Bonmee che si ricorda delle vite precedenti, recensione, reincarnazione, sogno, Thailandia,
28 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, di Lo Apichatpong Weerasethakul, Spagna/Thailandia/Germania/GB/Francia 2010, 114 M.

 

giudizio:



7.790004
Media: 7.8 (18 voti)

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