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FILM

Polisse, reati minori

Raccontare l'irraccontabile, ovvero i casi di molestie sessuali ai danni dei bambini: Maiwenn Le Besco ci prova, come regista e interprete della storia di un corpo di polizia selezionato proprio per la tutela dei minorenni. Un film imperfetto, nel quale l'autrice sembra aver messo anche dell'autobiografico...


di Marinella Doriguzzi Bozzo


Premiato dal pubblico al Festival di Cannes del 2010, un film co-sceneggiato, diretto ed interpretato da Maiwenn. Dietro a quella che, indicata così, sembra una firma fashion, non si sa se per ombrosa modestia o per il suo esatto contrario, si abbrevia o si mutila Maiwenn Le Besco, giovane donna bellissima ma ai confini dell’inquietante, con una biografia molto travagliata sia in fase infantile che in quella adulta. Da questa sembra aver tratto ispirazione per raccontare - all’apparenza - il disagio minorile nelle sue varie espressioni, prima fra le quali le molestie di natura pedofila, quasi sempre imputabili ai famigliari delle piccole vittime. Che viceversa fanno da gelido, sintetico, talora equivoco ma mai insistito contrappunto alle nevrosi del gruppo di poliziotti appartenenti alla francese BPD - Brigata di Protezione dei Minori.
 
Variegati e al tempo stesso corali come in un noir di Fred Vargas, sono i principali soggetti del film, che indagano per essere a loro volta indagati: come se il male con cui sono abitualmente a contatto venisse prima liofilizzato e poi sciolto in una pozione quotidiana che li intossica e li sovreccita insieme, non tanto per approfondire le psicologie dei singoli, quanto per offrire uno spaccato delle loro relazioni interpersonali, dentro e fuori i labili confini di un ingrato impegno. Ad ogni caso si contrappone infatti la vita di ufficio, intrisa di lavoro e di dopolavoro, fra colloqui, ispezioni, bevute, mangiate, intrecci amichevoli ed amorosi, frutto a loro volta di vari retroscena concatenati. 
 
E tuttavia l’andamento da tv movie (ritmato come una specie di rumoroso e algido musical) esce dal solito disegno degli affreschi di gruppo, perché il confine tra la partecipazione dolente, l’incallimento quotidiano e la contaminazione dell’orrore tende a portare il racconto (tutto fatto di accadimenti e di dettagli) sul piano del simbolismo. Che rimane come una metafora in bilico senza mai precipitare, in quanto tutti, le vittime e i poliziotti, sono di fatto prigionieri di un’oscurità contagiosa.
 
polisse-scamarcio-large.jpgIl film ha parecchi difetti: innanzitutto la sua stessa struttura paradigmatica, che lo porta a procedere per accumuli, senza saper finire; poi una certa banalità della casistica privata dei singoli; infine l’ambizione di rappresentare l’impronunciabile, con mire e velleità ripetute che oscillano fra l’alto e il basso. Tutto questo senza contare alcune artificiosità del racconto, tale da sfiorare l’asetticità del documentario pur non sapendo rinunciare ai romanzeschi colpi di grancassa, a partire dal personaggio della fotografa - la stessa regista, con un inutile Scamarcio al seguito - fino ad un epilogo preso di peso dalla Tosca pucciniana.
 
Ma dalla sua il lavoro ha anche alcuni pregi: quello di aver saputo rendere fluido un materiale ostico e risaputo che ruota intorno ad una delle tante squadre poliziesche, con piccoli cenni umani che riescono comunque a contraddistinguerlo positivamente; l’aver saputo dare parole all’indicibile, con una crudezza che è tanto esplicita quanto allusiva, senza mai scadere nella morbosità; infine,  soprattutto, essere riuscito a mischiare e denunciare il quotidiano con quanto vorremmo che quotidiano non fosse. Con una sorta di durezza trattenuta, non così dissimile dalla reiterazione che domina anche il recente Shame (vedi la nostra recensione), chiarissimo e tuttavia volutamente mai particolareggiato, benchè circonfuso di un’altra aura artistica.
 
Pochi i momenti veramente coinvolgenti, sfiorati con prassi maschile e animo femminile la retata nel campo nomadi, la separazione del bambino di colore da una madre che lo vuole abbandonare alle istituzioni perché non diventi come lei, il timore dei padri nei confronti dell’intimità con i figli, quando l’intenzione umana è stata a tal punto denudata da eliminare per sempre la naturalezza dell’innocenza. Infine la scena forse più emblematica, allorché la disinvoltura sessual mercantile di un’adolescente attonita si scontra con le umanissime e per lei incomprensibili risate di questo gruppo di pervicaci deformi, dannati dal loro stesso apostolato.



Tags: Brigata Protezione Minori, Maiwenn Le Besco, Marinella Doriguzzi Bozzo, Polisse, recensione, riccardo scamarcio,
06 Febbraio 2012

Oggetto recensito:

Polisse di Maiwenn Le Besco, Francia 2011, 134 m

giudizio:



7.02
Media: 7 (1 vote)

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