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FILM

Quel che resta del libro

In Amabili resti, tratto dal romanzo di Alice Sebold, una ragazzina violentata e uccisa segue da un limbo le vicende dei familiari e del suo killer. Peter Jackson dopo i kolossal come Il signore degli anelli raccoglie la sfida di una storia tutta interiore


di Alessandra Montrucchio


Ciò che resta di questo film è che a Peter Jackson piacciono le sfide difficili. Prima trasformare in saga cinematografica il mondo complesso di Tolkien, poi rinverdire per l’ennesima volta King Kong, ora rendere per immagini una storia fondamentalmente interiore come quella narrata da Alice Sebold nel suo romanzo: l’elaborazione di un lutto da parte della famiglia Salmon, cui è stata uccisa la quattordicenne Susie, e da parte della stessa Susie (questa la grande intuizione del libro), che sospesa tra cielo e terra non sa staccarsi da chi ha amato e dall’adolescente che è stata.
 
Ciò che resta sono le scelte, difficili, che sceneggiatori e registi hanno dovuto compiere; e di fronte a un libro molto lungo e molto ricco, scegliere significa tagliare. Non sempre bene: personaggi eccezionali come la sorella e la madre di Susie, con la loro reazione al dolore, sono ridotti al lumicino, e se la sorella ha ancora motivo di esistere sulla pellicola perché insieme al padre cerca di smascherare l’assassino, la madre perde ogni consistenza e quasi ogni perché. Anche altri personaggi sfumano fino a sfaldarsi: la sbandata Ruth che percepisce la presenza dei morti, l’introverso Ray innamorato di Susie – e con loro sfuma tutta l’ultima parte della storia, il riscatto dal dolore grazie all’amicizia, all’amore e a quello spiraglio che rimane aperto tra cielo e terra.
 
Ciò che resta sono due protagonisti straordinari. Saoirse Ronan nella parte di Susie, così piena di emozione e giovinezza e vita, proprio ora che è morta, da commuovere. E Stanley Tucci nella parte del killer, così banale normale miserevole e tapino da spaventare – e da conquistare la scena: grazie a lui (o a causa sua), il film diventa la storia non solo dell’elaborazione di un lutto, ma anche della convivenza con la colpa. Menzione d’onore a Mark Wahlberg, capace di dare un volto convincente a un padre che volge la disperazione in azione, e soprattutto a Susan Sarandon: anche se il ruolo della nonna degenere è stato (purtroppo) liofilizzato, a lei basta alzare un sopracciglio per inghiottire lo schermo.
 
Ciò che resta sono le fantasmagorie del cielo da cui Susie osserva la terra. Stagioni mutevoli, colori lisergici, giochi di luce, un surrealismo molto seventies; un limbo tra il Parnassus di Gilliam e l’Lsd che i critici non hanno amato ma invece funzionerebbe, se non prendesse troppo spazio a scapito della crescita dei personaggi negli anni e della soluzione del giallo.
Ciò che resta è un film irrisolto eppure poetico, impoverito rispetto al libro eppure commovente. E alla fine, all’uscita dal cinema, ti domandi: mi è piaciuto? Non ti sentiresti di rispondere sì; però un sussulto quando Susie segue il killer verso la propria tomba l’hai avuto, e una lacrimuccia alla fine l’hai versata.



Tags: Alessandra Montrucchio, alice sebold, amabili resti, il signore degli anelli, king kong, limbo, Mark Wahlberg, parnassus, peter jackson, Saoirse Ronan, stanley tucci, stupro, Susan Sarandon, terry gilliam,
19 Febbraio 2010

Oggetto recensito:

Peter Jackson, Amabili resti, Usa/Gran Bretagna/Nuova Zelanda 2009, 135 m.

Sceneggiatura: Peter Jackson, Fran Walsh, Philippa Boyens. Stessa squadra de Il signore degli anelli.
Produzione: DreamWorks (Spielberg è il produttore esecutivo), WingNut Films, Film4, Key Creatives.
Interpreti: Saoirse Ronan (Susie), Mark Wahlberg (il padre Jack), Rachel Weisz (la madre Abigail), Susan Sarandon (nonna Lynn), Rose McIver (la sorella Lindsay), Stanley Tucci (George Harvey)
Montaggio: Jabez Olssen.
Il libro: Alice Sebold, Amabili resti, E/O, traduzione di Chiara Belliti. Sorprendente il primo terzo, godibile il secondo, dispersivo l’ultimo.
Odore di Oscar: per Stanley Tucci. Lo meritava già per Il diavolo veste Prada e forse anche per The Terminal. Che sia la volta buona?
Colonna sonora: se vi siete detti “Accidenti, che bella musica!”, be’, l’ha composta Brian Eno.
La scena migliore: quando Susie segue Harvey nella tana dove morirà. Jackson è così bravo da illuderci, per un istante, che lei si salvi.
La scena peggiore: la riunione finale di tutte le vittime del killer. Retorica.
giudizio:



9
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