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FILM

Terraferma, tragedia all'italiana

Come in una moderna Antigone, legge degli uomini e legge naturale si scontrano nelle acque di Lampedusa. Il film di Emanuele Crialese è un capolavoro non solo perché parla di clandestini da soccorrere


di Marco D'Egidio


Nell’omonima tragedia di Sofocle, Antigone si appella alle leggi non scritte, eterne e incrollabili degli dèi per rivendicare il dovere di sepoltura nei confronti del fratello Polinice, per il quale il re Creonte ha vietato di celebrare i riti funebri. Le tragedie greche sono arte immortale, ma questa in particolare racconta di noi qui e ora, dei cittadini che devono rispettare le leggi democratiche, e in particolare degli abitanti di isole come Lampedusa. 
 
Quando un peschereccio avvista un barcone di clandestini (questo infatti sono i migranti, per la legge), la Capitaneria di porto dà istruzioni di non avvicinarsi, una vedetta già in zona arriverà. Ma alcuni di quei disperati si sono buttati in acqua per raggiungere la nave a nuoto.  Ernesto, vecchio pescatore dalla barba lunga che in mare ha perso un figlio, non ci sta, non ha mai lasciato un uomo in balia delle onde e si tuffa per prestare aiuto, mentre il nipote Filippo lancia i salvagenti. Così dice il codice del mare, la legge non scritta della pietà. Il contrasto tra le due “giustizie”, l’una immodificabile fondata sull’umanità nostra essenza, l’altra umana, troppo umana per essere la fedele traduzione in lettere della prima, è da qualche tempo il dilemma drammatico in cui può capitare di trovarsi a un marinaio nel canale di Sicilia, testimone più o meno passivo - più o meno costretto a esserlo - di una tragedia vera. Sembra una rilettura in chiave contemporanea dell’Antigone, e si sta guardando Terraferma.
 
Tra i migranti portati in salvo sul peschereccio ci sono anche una donna che sta per partorire e il suo figlioletto. Ernesto decide di tornare in porto, senza denunciare alle forze dell’ordine l’avvenuto soccorso. La bambina nascerà nel garage e dalle mani di Giulietta (un’ottima Donatella Finocchiaro), la madre di Filippo, la nuora del vecchio pescatore rimasta vedova; e da Giulietta riceverà le prime cure. Ma prima o poi, se non vogliono consegnarli alle autorità, Ernesto, Giulietta e Filippo dovranno trovare il modo per portare la giovane madre con i due piccoli al di là del mare, su quella che loro considerano la vera terraferma.
 
Il film di Emanuele Crialese, Premio speciale della Giuria all’ultima Mostra di Venezia, è il racconto potente di un mondo che si sta frammentando. Non solo il conflitto tra due etiche (che si alimenta del freddo e inflessibile puntiglio con cui il finanziere dall’accento veneto persegue chi soccorre senza denunciare i clandestini), ma anche altri livelli di contrapposizione compongono un’opera di grande impatto visivo ed emotivo. I vecchi pescatori non si capiscono con i loro figli, il mondo cambia anche per un’isola che non compare sul mappamondo, le nuove generazioni non hanno lavoro, vivono di turismo e sono preoccupate della cattiva “pubblicità” (così dice Beppe Fiorello nella parte dell’altro figlio di Ernesto) degli sbarchi dei migranti. I villeggianti, da parte loro, vogliono solo divertimento, e tutt’al più guardano il dramma che si consuma su quelle coste attraverso la fotocamera del telefonino. Un contrasto, quello fra sicurezza e pericolo, o fra spensieratezza e disperazione, che risalta nella scena dell’imbarco sul traghetto diretto alla terraferma – i turisti, dopo una vacanza serena; i migranti, scortati in una fila a parte, anche loro all’inizio del viaggio di ritorno.
 
Crialese dipinge un’umanità che fa sempre più fatica a comprendersi, spinta da se stessa nella paura del diverso; e che può ritrovarsi solo nella natura, vale a dire insieme la riscoperta delle radici profonde che legano tra di loro tutti gli uomini e il riconoscimento della terra come casa di tutti, anche degli animali, perché no. La neonata piange tra le braccia della madre ma non tra quelle di Giulietta: riconosce il suo odore, è nata dalle sue mani, e per questo si chiamerà Giulietta. Filippo, ragazzo chiuso e sensibile, accompagnando in una gita al mare i tre giovani turisti che hanno preso in affitto la sua casa (tra cui c’è Maura, della quale si è innamorato), passa prima a salutare i suoi “amici” animali nella radura sulla collina; una perdita di tempo di cui i vacanzieri avrebbero fatto volentieri a meno. Ma non solo tra le pagine della sceneggiatura si trovano gli spunti interpretativi del film.
 
Le riprese subacquee, la cinepresa ancorata al fondo che guarda verso la superficie, una soggettiva dei morti cui il Mediterraneo fa da cimitero. Il carisma di Ernesto ritratto in una posa mitologica, simile ad Efesto, mentre ripara con la fiamma ossidrica l’elica del suo peschereccio. Le panoramiche dell’isola vulcanica (la storia è ambientata a Linosa), che i suoi abitanti non chiamano terraferma, come se vivessero in una barca in mezzo al mare. E’ in piccoli episodi come questi – in singole scene di grande valenza simbolica come queste - che il regista nasconde il messaggio dell’opera, la simpatia che deve rimanere dopo i titoli di coda, anche solo a livello di emozione, spronata da una colonna sonora capace di muovere il sentimento. Terraferma è un bellissimo inno all’accoglienza contenuto in una grande tragedia contemporanea. Non si tratta di un appello velleitario: noi siamo fatti per ospitare sulla nostra barca chi è in difficoltà, è scritto nella legge del mare, che è un po’ come dire una legge divina.



Tags: Antigone, Emanuele Crialese, immigrati, lampedusa, legge, Marco D'Egidio, recensione, terraferma,
19 Settembre 2011

Oggetto recensito:

terraferma, di emanuele crialese, italia/francia 2011, 88m.

giudizio:



8.195625
Media: 8.2 (16 voti)

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