Il sottotitolo è Senza identità. In realtà il thriller di Jaume Collet-Serra è un tipico caso di identità multipla, per il modo in cui mette insieme classici e meno classici del cinema di suspence: da Hitchcock a Polanski, mantenendo alti ritmo e intelligenza
di Marinella Doriguzzi Bozzo
Una bella coppia americana, la manina bionda di lei quasi persa nella manona di lui, un arrivo a Berlino, un congresso internazionale sulle biotecnologie, una valigetta smarrita... Siamo dalle parti di Frantic di Roman Polanski(1988) che a sua volta parafrasava Hitchcock; non a caso ci sono abbondanti rimescolamenti direttamente attinti dal maestro stesso (Il sipario strappato, 1966) nonché reminiscenze del precedente film di Mark Robson, Intrigo a Stoccolma (1963). Tutti lontani nel tempo, ma noti comunque perché ancora oggi cavalli di battaglia di alcuni sonnacchiosi circuiti televisivi.
Al posto di Paul Newman e Harrison Ford, qui c’è Liam Neeson, che ci avverte subito che siamo in un thriller classico. Un aeroporto concitato, la suite di un grand hotel, un incidente di macchina rocambolesco, la vita salvata da un’altra bionda (una bellissima Diane Kruger quasi struccata) a prezzo però della perdita dell' identità. A far da cornice, una capitale stranita e minacciosa come sanno esserlo i luoghi in cui ci si imbatte per la prima volta in assenza di guide o di tour organizzati, di padronanza della lingua, di documenti, di vestiti caldi, nonché di conoscenze. Con amori che ti rinnegano, amici che non si trovano, e presenze da subito mortalmente insidiose.
Questo per dire che il senso di immediata tensione che si comunica allo spettatore corre su un duplice binario. Da un lato, l'angoscia dell'immedesimazione, ché tutti hanno reminiscenze dirette di viaggi perigliosi usciti dal progetto sperato, con la conseguente domanda: cosa faremmo mai noi al posto del protagonista? Dall'altro, il martellante avvio che prosegue a ritmo sostenutissimo, e ha il pregio di essere in qualche modo familiare, senza tuttavia perdere la capacità di avvincere e di sorprendere.
Perché nelle rivisitazioni o ispirazioni intelligenti, si fa tesoro delle esperienze pregresse, e a spettatore scafato si risponde rilanciando. Qui non solo in termini di chi è chi (poiché ognuno è comunque altro dal dichiarato o dal riconosciuto, e lo stesso tema dell'identità subisce una sorta di torsione esponenziale), ma anche in termini canonici di suddivisione fra buoni e cattivi.
Certo, bisogna un po' prestarsi al gioco, magari non sottilizzando troppo sull'ingegneria del meccanismo, che cerca tuttavia di rispettare la logica, attualizzandola anche storicamente, e che comunque tiene fino alla fine, perché il fulcro su cui far leva non è il disvelamento, ma il coinvolgimento. In questo senso il thriller si coniuga felicemente con il film di azione, e alcuni adrenalinici inseguimenti in macchina non fungono da riempitivo, ma aggiungono suspence senza ibridare il genere, anzi lasciandolo vittoriosamente intatto.
Ispirato al romanzo Fuori di me del francese Didier van Cauwealaert e diretto dal regista spagnolo Jaume Collet-Serra, già autore del contestatissimo Orphan, in cui si puntava tutto sul terrore di ciò che ci si aspetta, ma che di fatto non avviene, per poi suonare a sorpresa il colpo di grancassa finale. Questo film è al contrario denso, ben diretto, con una fotografia accattivante e scaltra. Avendo, tra gli altri, il merito di non prendersi per quello che non è, come di non afflosciarsi sul finale a guisa di soufflè, magari per colpa di ospiti ritardatari o di cuoche maldestre. L'interpretazione degli attori è funzionale (compreso il bel cameo di Bruno Ganz), ossia completamente al servizio della trama e non al contrario, e la medietà alta e costante dell'intrattenimento evita a bella posta i cosiddetti "momenti memorabili"che fagocitano il resto: tutto è piuttosto armoniosamente concatenato.
In una stagione che ha diffusamente premiato il genere pensoso, con riflessioni più o meno riuscite soprattutto sulla morte, e che non è stata generosa in termini di noir, i pochi riferimenti di confronto che ci balzano alla mente sono The ghost writer, dello stesso Polanski (decisamente più sofisticato e rarefatto ma anche meno complice dello spettatore) e l'inqualificabile The tourist. Per il quale ci viene in mente la frase di Agatha Christie, una che se ne intendeva:"La bruttezza ha un vantaggio sulla bellezza: dura!" Per esorcizzare questo aforisma, andate a vederlo, se vi piace l'evasione di un sano intrattenimento popolare, nel senso ludico del termine. Essendoci eventualmente grati non tanto per il consiglio, quanto per l'immane fatica di aver sin qui menato il can per l'aia pur di non svelarvi niente.
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Unknown - Senza identità, Jaume Collet-Serra, Gran Bretagna Francia Germania Giappone, Canada USA 2011, 115 m
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