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LIBRI

Alfredo Reichlin, appunti per una nazionale comunista

Giovanissimo fu partigiano nella brigate Garibaldi. Poi divenne dirigente di partito e direttore dell'Unità: nel suo libro Il midollo del Leone racconta di quando, dopo la guerra, il Pci abbandonò le utopie internazionaliste che venivano da Mosca per dedicarsi a "fare gli italiani" 
 


di Franco Milanesi

 


È ben chiaro ad Alfredo Reichlin quale sia stato l’obiettivo del Pci dopo il 1945: dare ai ceti subalterni piena cittadinanza democratica, trasformare le “plebi”, oscillanti tra sottomissione e ribellismo, in “popolo”, facendo così del proletariato parte organica e progressiva di una società capace di riconoscersi in un progetto comune di crescita e democrazia. Non escludendo il conflitto, ma ricomponendolo nel superiore interesse nazionale. La dirigenza del partito comunista, pur con differenze di intonazione tra i vari leader, si indirizzò, afferma Reichlin, verso questo “progetto per trasformare gli individui in cittadini”. Un programma, con forti intonazioni nazionali, assai distante dalle utopie rivoluzionarie (il comunismo è definito “un compito irreale”) aperto ad una alleanza con le forze moderne e progressiste della borghesia. È questo il progetto, chiamiamolo di alto riformismo, che l’autore descrive e di cui difende con passione sia la qualità politica che la dimensione etica.
 
Nelle pagine si intrecciano quattro percorsi: quello che attiene alla politica nazionale, le cadenze biografiche, gli accadimenti sociali, le trasformazioni del partito. I legami interni tra queste narrazioni sono strettissimi ed è in questa sovrapposizione che si può misurare la distanza dall’oggi. Reichlin racconta un tempo in cui la militanza era il segno di un impegno totale, illuminato da idealità ma sopratutto tradotto in una “praticaccia” quotidiana svolta da una parte all’altra della penisola. Il territorio non era ridotto allo spazio proprio, ma era radicamento nella realtà materiale di un’intera nazione, con piena consapevolezza, per altro, della cornice e dei condizionamenti internazionali.
 
Certo, si potrebbe obiettare, quel mondo appare più semplificato. Netta la composizione di classe e gli antagonismi. Chiara dunque l’ispirazione nazional-popolare della sinistra, con le sue luci (responsabilità, progettualità, efficacia) e le sue ombre (pedagogismo, consociativismo, resistenza all’innovazione). Ma le pagine più originali non sono quelle in cui l’autore si dedica ad un bilancio, peraltro sempre assai lucido, ma quelle dove si intrecciano esperienze personali e storia: l’8 settembre, la guerra di liberazione, la ricostruzione del paese. Momenti in cui emerge lo sforzo di un’intera nazione (“L’umile Italia, la patria di tutti”), una volontà collettiva che pur tra differenze e difficoltà si fa strada e riesce a vincere la sua sfida.
 
Dopo, qualcosa si inceppa. La sclerosi del sistema dei partiti, l’arretratezza sociale segnalano la fragilità di quel patto costituzionale che in Italia pare non essersi mai radicato. Il testo, in questi passaggi, evidenzia una certa difficoltà a fornire spiegazioni del processo degenerativo, soffermandosi sull’infinta metamorfosi partitica che ne è uno degli effetti più vistosi. In tal senso, i rapporti tra socialisti e Pci o le sue mutazione appaiono più come operazioni di vertice che come atti ispirati alle citate parole di Claudio Napoleoni: “il significato della politica, come luogo in cui stare e da cui parlare, io lo desumo dal fatto che la politica sia concepita come lo strumento di una liberazione”.



Tags: Alfredo Reichlin, comunismo, crisi politica, dopoguerra, Enrico Berlinguer, Franco Milanesi, Il midollo del leone, Laterza, pci, recensione,
17 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

Alfredo Reichlin, Il midollo del leone. Riflessioni sulla crisi della politica, Laterza, Roma-Bari 2010, p 154,15 Euro

 

giudizio:



7.02
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