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LIBRI - POESIA

Il poeta della laguna

Finío de zogàr è l'ultima raccolta di liriche di Andrea Longega, anche questa scritta in un dialetto veneto che è linguaggio dell'intimità, della famiglia e dei ricordi. La sua parola si muove in territori stretti e tra eventi apparentemente insignificanti, ma intanto svela orizzonti di sensibilità universale


di Giuseppe Grattacaso

 


Andrea Longega pubblica il suo quarto libro, anche questo in dialetto veneziano, nelle raffinate edizioni de Il ponte del sale. Finìo de zogàr è una raccolta intensa, di rara forza espressiva, che nasce, si direbbe, dal basso, dal tono sommesso che l'autore predilige e da uno sguardo ravvicinato su oggetti e uomini.
 
Ma se è vero come scriveva Karl Kraus che “quanto più da vicino si osserva una parola, tanto più lontano essa rimanda lo sguardo”, allora la parola di Longega, che ostinatamente si muove nei luoghi più prossimi, diventa specchio e paradigma di una vasta, universale vicenda di gioia e di dolore. Allo stesso modo il dialetto utilizzato - che, come scrive lo stesso autore, “accoglie semplificazioni e italianizzazioni, tuttavia conserva ancora memoria del passato, di molti termini e modi di dire assimilati da genitori e nonni” - è lingua degli affetti e della vicenda familiare, attraverso cui si può parlare di sentimenti e di un mondo circoscritto, così ricco però di qualità e moralità, che l'uso della lingua italiana tenderebbe a sminuire, producendo un effetto di eccessivo distacco.
 
Attraverso l'uso del dialetto “semplificato” - non lingua della comunicazione ma della memoria e degli affetti . Longega può far scivolare le parole sui piccoli eventi del quotidiano, sugli insignificanti equivoci che puntellano la storia personale, può ricostruire eventi familiari che a prima vista apparirebbero marginali, fare leva su quelle emozioni che non trovano più diritto di cittadinanza sulla pagina letteraria. Può cioè ancora stupirsi, commuoversi, turbarsi, provare pietà, intenerirsi, senza che questo risulti imbarazzante per chi legge o per chi scrive, ma anzi ottenendo un effetto di trasparente innocenza e di grande incisività.
 
La vita si anima così di un dialogo minimo e straziante, di fronte alla malattia e alla morte della madre, a cui sono dedicate numerose liriche, dove oggetti d'uso quotidiano e domande universali sono messi in relazione attraverso il tono pacato e cantilenante dei versi: “Merli che ve sento / prima che fassa matina / parléme co la vostra / vose prima, come fusse / la nòte de Nadal. / Conteme del mondo / (savé de la Elvira? De la so tuta / de cinilia?) / e de quelo che ne l'aria / e in mèzo ai rami / se tramanda”.
 
Longega è capace di affrontare, come ricorda Vivian Lamarque nella partecipe introduzione al volume ("Le mie poesie – scrive – amano molto le poesie di Andrea Longega"), i grandi temi della vita e della morte, sempre con una graziache riesce a restituirci tutta la sofferenza e tutta la bellezza di cui sono intrise le nostre esistenze e che sembra vogliamo dimenticare: “Xe cussì semplice / nasser e morir / che tutto el resto me par / inutilmente complicà”.



Tags: Andrea Longega, Finìo de zogàr, Giuseppe Grattacaso, Il ponte del sale, lirica, poesia, recensione, veneziano,
08 Ottobre 2012

Oggetto recensito:

Andrea Longega, Finío de zogàr, Il Ponte del sale, p. 81, € 13

 

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