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SPECIALE LIBRI

Il sacco del Nord

L'ultimo lavoro di Luca Ricolfi analizza, con molteplicità di dati e fonti, i flussi di denaro tra regioni italiane. Un testo che è piaciuto soprattutto alla destra per le sue conclusioni "federaliste", ma che dovrebbe essere considerato da tutti, per il suo metodo rigoroso e per la proposta di una contabilità nazionale alternativa al Pil


di Roberto Basso


Tassi di spreco. Anno 2006.JPGDichiaro subito il mio pregiudizio: considero Luca Ricolfi uno dei migliori scienziati sociali in circolazione. Avvertito il lettore della possibilità che la mia valutazione delle sue opere sia eccessivamente benevola, posso esprimere tutto il mio apprezzamento per Il sacco del Nord.
 
Un giudizio positivo poggiato sulle stesse ragioni della stima che nutro per il suo autore: Ricolfi è uno di quei sociologi che si rimboccano le maniche per infilare nei dati le mani e le braccia fino al gomito. Anzi, siccome le sue considerazioni non nascono mai guardando il cielo stellato, setaccia il mondo in cerca di numeri, serie storiche e repertori di dati. (qui accanto: tassi di spreco, anno 2006)
 
Il sacco del Nord infatti è il resoconto di un lavoro di ricerca ed elaborazione (con il contributo che si intuisce prezioso di Luisa Debernardi) su dati econometrici di molte fonti (Istat, Osservatorio Nordovest, Isae, Banca d’Italia, Fondazione Agnelli, Formez, Agenzia delle Entrate, Ocse, Centro Studi Confindustria e altre) volto a costruire una contabilità nazionale alternativa a quella attualmente in uso: la contabilità nazionale liberale. 
 
Questo strumento di lettura e organizzazione dei dati economici relativi alle regioni italiane ha consentito a Ricolfi di pervenire a una valutazione originale dei flussi finanziari che sussistono tra regioni (e tra macroaree del Paese), calcolando l’interposizione dell’apparato pubblico, la componente di sottoproduzione e di spreco, il grado di parassitismo, l’evasione e il livello dei prezzi che contribuiscono a determinare il tenore di vita reale. L’esito dell’analisi non è sorprendente, ma rende meno omogeneo il giudizio sulle macroaree, individuando regioni parassite al Nord e qualche virtuosismo al Sud, e fornisce strumenti per capire dove si annidano i problemi e quindi dove bisognerebbe mettere le mani. Certamente servirà ad articolare e argomentare alcune rivendicazioni settentrionali e a legittimare una revisione federalista dello Stato ispirata a principi di responsabilità. 
 
Ora, va detto che nel dibattito esclusivamente fazioso che i media fanno intorno alla politica italiana, i contributi di scienziati, osservatori e opinion maker vengono abitualmente collocati nello spazio politico conforme. Non sono contemplati ragionamenti nel merito né distinguo: se stai a destra devi sostenere la propaganda di destra, se stai a sinistra devi recitare la giaculatoria dei luoghi comuni di sinistra. Per fortuna alcuni intellettuali riescono a sottrarsi a questo gioco noioso, ovviamente con il risultato di essere odiati dalla parte che sentono idealmente più vicina e strumentalizzati dall’altra.
 
Luca Ricolfi rientra in questa schiera: si sente vicino alle istanze ideali che nella definizione di Bobbio contraddistinguono la sinistra e al tempo stesso ha acquisito “una sorta di venerazione per il principio di responsabilità individuale, l’insofferenza per coloro che vivono alle spalle degli altri” e sviluppato un’avversione per quella “sinistra che si ostina a non comprendere che l’uguaglianza senza il merito conduce all’opportunismo e all’irresponsabilità”. Ovviamente la stampa berlusconiana e leghista non sta nella pelle e ha dato ampio spazio a questo lavoro, mentre l’ex ministro leghista Luca Zaia, nel presentare il programma di governo della sua regione, il 5 maggio scorso, ha mostrato di aver assimilato la lezione affermando “non assisteremo inermi al sacco del Veneto”. 
 
All’addetto ai lavori questo libro sollecita anche due domande: la “contabilità nazionale liberale” rimarrà un esercizio sterile o qualcuno raccoglierà la sfida e svilupperà ulteriormente un modo di guardare a ricchezza e benessere diverso dal più semplice e consolidato Pil? E qualcuno prenderà sul serio l’esigenza di mettere a disposizione in modo intelligibile i dati che tanti raccolgono ed elaborano, rendendo più semplice e meno costoso il lavoro dei ricercatori, favorendone la creatività? È nota l’attenzione per il tema dell’open data del neo-presidente dell’Istat Enrico Giovannini, membro della “Commissione internazionale sulla misura della performance economica e del progresso sociale” voluta da Nicolas Sarkozy in Francia all’inizio del 2008: possiamo aspettarci un’evoluzione dell’Istituto nazionale di statistica in questo senso?



Tags: dati, federalismo, guerini e associati, il sacco del nord, istat, luca ricolfi, nord, regioni, Roberto Basso, sociologia, statistica, sud,
31 Maggio 2010

Oggetto recensito:

Luca Ricolfi, Il sacco del Nord, Guerini e associati 2010, p. 272, euro 23.50

La citazione/1: "Insomma nel Sud sono elevati, al tempo stesso, la quota di spesa pubblica allocata in stipendi e sussidi, il parassitismo puro, i tassi di sottoproduzione e spreco. Nel Nord accade esattamente il contrario: spesa pubblica orientata agli acquisti, basso parassitismo, sprechi contenuti"
 
La citazione/2: "Il trasferimento di risorse, dunque, è essenzialmente un trasferimento da Nord a Sud, che priva ogni anni il Nord di un ammontare di risorse che corrisponde a qualcosa come il 7% del Pil market da esso prodotto"
 
La citazione/3: "Il quadro che emerge dal nostro esercizio è estremamente netto in termini aggregati – il sacco del Nord sottrae ogni anno almeno 50 miliardi alle regioni più produttive del Paese – ma diventa alquanto variegato quando si analizzano i conti delle singole regioni"
 
La citazione/4: "Il vero problema di una classe politica che avesse la volontà di fermare il declino è di convincere l’opinione pubblica che il cambiamento è necessario, perché è l’unica alternativa (…) a un lento e inesorabile arretramento del nostro tenore di vita"
 
La citazione/5:
"L'ostacolo principale alle riforme non è l’opinione pubblica, ma sono gli interessi del ceto che tali riforme dovrebbe mettere in atto. È difficile pensare che una classe politica che sull’interposizione pubblica ha fondato il proprio potere decida improvvisamente di restituirci un po’ di libertà"
giudizio:



8.01
Media: 8 (10 voti)

Commenti

Sono rimasto colpito più che

7.02

Sono rimasto colpito più che dal contenuto (l'enorme mole di dati sul paese), dal suo metodo. Cercare di migliorare gli strumenti di raccolta e di analisi dei dati, tenendo conto della realtà sociale in cui si opera: questo sì che vuol dire essere progressisti!

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