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LIBRI - NON FICTION

Uno straniero nella città di Asterix

Quando, dopo aver percorso migliaia di chilometri, il piccolo Akmed arriva a Roma, la sua odissea è appena all'inizio. Per chi viene da lontano, la Capitale è ancora quella del fumetto francese, con i suoi assurdi labirinti burocratici. In Come due stelle nel mare racconta la sua avventura Carlotta Mismetti Capua, giornalista e, per l'occasione, "benefattrice"


di Dario De Marco


le-dodici-fatiche-di-asterix.jpgLa signora Mariarosaria, maestra in pensione, anni fa dedicava molto del suo tempo libero alle bambine della casa-famiglia, gestita da suore, della sua religiosissima cittadina. Lei le chiamava – tutti le chiamavano, negli anni '50-'60 il politically correct era di là da venire – “le orfanelle”. Offriva qualche abito di seconda mano, qualche caramella, si incaricava di accompagnarle in qualche libera uscita; offriva soprattutto una compagnia, un punto di riferimento. Molte di loro, quando la incontrano oggi, non mancano di esprimerle eterna gratitudine. Una in particolare, rimasta affezionatissima, continua a mandarle, dalla Germania dove è felicemente sposata, puntuali lettere ogni Pasqua e Natale, che immancabilmente iniziano così: “Carissima benefattrice...”.
 
Carlotta Mismetti Capua, giornalista, a un certo punto di una telefonata delirante si sente proporre questa qualifica. Sta cercando di avere notizie da un funzionario della questura, notizie di Akmed, minorenne afghano e aspirante rifugiato perso nei meandri della burocrazia. E a un certo punto il tizio, che come tutti non riesce a capire il motivo di tanto interesse, perché Carlotta non è una parente, non è una connazionale, non è un'impiegata pubblica o una diplomatica, non è una volontaria o una cooperante, insomma non ha nessun ruolo riconosciuto nella storia, a un certo punto lo stesso funzionario azzarda: Ma lei, per caso, è una... benefattrice? E allora Carlotta capisce, è chiaro che ha bisogno di un ruolo, che “cittadina” non basta, e si arrende: Sì, sono una benefattrice.

Questo libro, anche se così viene presentato, non racconta l'odissea di un ragazzino che ha fatto 5mila chilometri a piedi per arrivare dall'Afghanistan a Roma, dormendo all'aperto per cinque mesi nei posti più pericolosi e impervi di Iran e Turchia ed Europa. Racconta la seconda odissea, quella che inizia nella Città Eterna. Perché è vero che qui abbiamo leggi e associazioni che si occupano dei rifugiati politici, ma le une e le altre sono sottoposte a un'entità astratta e onnipotente che va sotto il nome di Procedura.
 
Per esempio: voi lo sapevate che cosa sono obbligati a fare i richiedenti asilo, nella non breve attesa di risposta? Niente. Nel senso che sono obbligati a non fare proprio niente. Non possono lavorare, perché non sono regolari come chi ha un permesso di soggiorno, ma neanche invisibili come i clandestini. Ma non possono neanche stare nelle strutture che li ospitano di notte, perché queste chiudono di mattina e riaprono i battenti la sera per riaccoglierli. E quindi stanno buttati in mezzo alla strada tutto il giorno, così. Oppure: se un minore che ha fatto tutta la trafila, da Save the children al commissariato e finalmente alla posto dove l'hanno sistemato, un giorno si perde perché magari Roma è un poco più grande del villaggio di montagna dov'è nato, e non riesce a rientrare per la notte, a quel punto deve tornare al via e ripetere tutto daccapo. Ma mica per cattiveria. È la Procedura.
 
Ora, in tempi di rinnovati sbarchi di stranieri, e rinfocolata paura, questo libro potrebbe avere ed ha una sacrosanta funzione di denuncia. Ma questo non è, soltanto, un libro “di denuncia”. Ha anche, anzi prevale, un lato umano, persino sentimentale. Ci si trovano dentro poesie, canzoni, citazioni e frasi sagge. Perché il protagonista non è soltanto Akmed, i protagonisti sono due, Akmed e Carlotta. La quale questa storia l'ha vissuta, prima di tutto. E poi l'ha raccontata. In varie forme: in primis, quasi in diretta, su Facebook. Poi con un documentario premiato in più occasioni. Poi con un ebook per le scuole. Infine con il libro.
 
Che tra l'altro ha un titolo, Come due stelle nel mare, forse inutilmente poetico. Mentre il multiforme storytelling si era finora chiamato La città di Asterix, e a buon motivo. A un certo punto infatti Carlotta chiede ai ragazzini afghani appena arrivati se sanno dove si trovano. E quelli fanno: Certo, è la città di Asterix! Come poi sia possibile che secoli di storiografia e mitologia e retorica sull'impero romano siano stati soppiantati da un revanchista fumetto francese, ma soprattutto come è successo che un fumetto francese sia arrivato sulle montagne sperdute dell'Afghanistan, rimarrà un mistero, e non solo per Carlotta.
 
Torniamo alla benefattrice, allora. Chiediamoci chi è, Carlotta Mismetti Capua. Una cittadina? Troppo semplice, troppo poco. Una giornalista, che in realtà voleva approfittarne e, facendo la paladina della giustizia, conquistarsi un posto nella penisola dei famosi? Bah. Ma poi, se “benefattrice” non volesse dire “colei che fa del bene”, ma proprio “quella che fa bene”? Allora saremmo costretti a chiederci: ha fatto bene, Carlotta Mismetti Capua? A sbattersi, a farsi carico della vita, e poi della storia, di uno sconosciuto minorenne afghano? O ha fatto male, per caso? A quel punto la risposta viene da sé.



Tags: afghanistan, Asterix, Carlotta Mismetti Capua, come due stelle nel mare, Dario De Marco, immigrazione, piemme, recensione,
20 Maggio 2011

Oggetto recensito:

Carlotta Mismetti Capua, Come due stelle nel mare, piemme 2011, p 196, euro 15

giudizio:



8.717139
Media: 8.7 (7 voti)

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