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MUSICA FOLK

Giovanna Marini e il mondo

Domani a Roma con un nuovo spettacolo, la colonna della musica folk italiana parla di tutto e non risparmia nessuno: dalla Chiesa che ha espulso i canti popolari dalle funzioni, alla world music di Peter Gabriel, fino alla sinistra che non è interessata alla battaglia culturale


di Marco Buttafuoco


Il 21 di settembre all’ Auditorium della Casa della Musica di Roma Giovanna Marini presenterà, con la sua collaudata formazione del quartetto vocale femminile (le altre voci sono quelle di Patrizia Bovi, Francesca Breschi e Patrizia Nasini) lo spettacolo Dal punto di vista dei Serpenti. Si tratta dell’ultimo episodio della lunga indagine della musicista romana sulla tradizione musicale e antropologica italiana: Giovanna Marini percorre questi sentieri fin dagli anni '60. La sua strada ha incrociato quella di tanti artisti impegnati tanto nella ricerca sul passato, quanto nel progetto disegno di una nuova Italia. Pierpaolo Pasolini, Italo Calvino, Dario Fo sono i nomi più noti fra quelli incontrati nella sua lunga carriera... La Scuola popolare di musica del Testaccio da lei fondata nel 1974 insieme a musicisti di area extra-colta è tuttora viva ed operante. Abbiamo avuto occasione di parlare con lei, di chiederle notizie sul suo spettacolo e di gettare uno sguardo rapido sul panorama della musica e della cultura in questi nostri tribolati giorni. Non è una vera e propria intervista. Sarebbe stato difficile sintetizzare in una trentina di minuti di colloquio una carriera tanto articolata ed approfondire i tanti risultati di una ricerca artistica tanto profonda.
 
Abbiamo cominciato, ovviamente , parlando del contenuto del suo prossimo spettacolo la cui prima data italiana non è una prima assoluta. La cantata ha già ottenuto un buon successo di critica e pubblico in Francia ed in Svizzera, paesi nei cui circuiti teatrali la Marini opera regolarmente.
Dal punto di vista dei serpenti è una cantata, una raccolta di madrigali sulla religiosità popolare italiana. Il nostro paese è ricchissimo di materiali musicali religiosi nati nelle classi più basse. Alcuni di essi sono bellissimi e meriterebbero di essere riproposti. Il dato importante è che però la chiesa ha sempre rifiutato questo materiale popolare. I vari Concili hanno sempre dato importanza al tipo di musica che si voleva fosse eseguita durante le funzioni religiose e il materiale popolare è stato sempre escluso. Oggi forse la gerarchia cattolica tenta di recuperare questa dimensione aggregante e socializzante del canto, inseguendo in questo la chiesa protestante che alla musica ha dedicato tanta cura. Ma i canti della nuova liturgia, quelli che si ascoltano nelle chiese italiane, sono davvero brutti e insignificanti da un punto di vista musicale e non hanno la minima presa emotiva. La Chiesa, organizzazione di potere, ha sempre imposto una religiosità fortemente teologica e distante dai sentimenti più profondi dei suoi fedeli poveri. I quali, più che il Dio sconosciuto della dottrina ufficiale, hanno amato e riconosciuto una pletora pagana di santi. C’è un santo che presiede a tutto in Italia, finanche alla derattizzazione. I Santi del popolo sono la versione cristiana dei Lari e dei Penati della romanità politeista. La cultura ufficiale della Chiesa è rimasta sempre distante. Era ed è una cultura raffinata ed elevata che doveva servire a formare le classi dirigenti. E non a caso la classe dirigente italiana esce, almeno fino agli anni '80, dalle scuole religiose. Ecco, io e le mie compagne riflettiamo su questi temi spesso giocando e scherzando anche con la realtà attuale ("L’unto del Signore" e amenità simili ). La seconda parte dello spettacolo è invece dedicata ai tanti Santi laici che segnano i calendari di questi nostri amari tempi: PierGiorgio Welby, Il Cardinal Romero, Don Puglisi. 
 
Lo spettacolo ha avuto un grande successo nella svizzera protestante e calvinista, tanto distante dal culto dei Santi. Lei è molto conosciuta in Francia, in Italia invece le sue occasioni di lavoro sono rare. In generale si ha l’ impressione, anche guardando il panorama dei festival, che la cultura italiana si stia appiattendo e banalizzando.
E’ vero, è così. Negli anni sessanta il panorama culturale era vivacissimo. Negli anni '70 nacquero decine di gruppi musicali e teatrali, emersero nuovi linguaggi espressivi, nuove forme musicali. Dagli anni '80, gli anni rampanti, il panorama è radicalmente cambiato. La politica si è allontanata dalla cultura o la ha interpretata e letta come pura apparenza, come strumento di richiamo pubblicitario. Il problema vero è che questo fenomeno ha coinvolto non solo i partiti del potere. La stessa sinistra sembra avere perso l’interesse a quella che una volta si chiamava “la battaglia culturale”. Non sembra più interessata ad aiutare, a dare spazio e voce a chi cerca strade e linguaggi diversi. L’Italia è ricca , ribollente di iniziative. Ne cito una per tutte. Il coro dei bambini sordi chiamato "Le mani bianche". Un’idea straordinaria, diventata realtà, nella scuola del Testaccio fra mille problemi nel disinteresse quasi generale della stampa e dell’informazione. L’ indifferenza verso la cultura sembra purtroppo trasversale. Se a questo aggiungiamo la mancanza di mezzi economici causata dalla crisi il panorama diventa davvero desolante".
 
Oggi si parla tanto di musica totale, di superamento dei generi, di approcci trasversali alla musica ed all’arte. Lei su questa strada cammina già da decenni. Nel suo modo di scrivere e di cantare c’è la musica popolare ma anche quella colta, antica e contemporanea. Lei come vede il paesaggio musicale dei nostri giorni?
Il problema non sono i generi o la mancanza di talenti. Mi è capitato di cantare , poco tempo fa, con i vecchi compagni del “Canzoniere Italiano”. C’erano alcuni superstiti di quel gruppo che tanto fece per la cultura musicale negli anni '60. Ma con noi c’erano anchè giovani bravissimi e davanti a noi un pubblico attento ed entusiasta. La scuola del Testaccio brulica di musicisti curiosi e aperti a tutte le esperienze. Ma, ripeto, è l’ ambiente circostante che è opprimente e non solo in Italia. Il fondo, l’humus culturale di questo nostri giorni è quello di trasmissioni come Amici. Che alberi potremo mai piantare su questo terreno arido?
Io credo anche ad esempio, che nel nostro tempo non potrà mai nascere un personaggio come Frank Zappa, un artista di cultura immensa e allo stesso tempo dotato della capacità di rimescolare le carte del discorso musicale: un innovatore vero, capace di rompere gli schemi. E’ la società che abbiamo intorno che sembra non essere più interessata a proposte artistiche realmente innovative. Il problema non è creare qualche improbabile commistione di linguaggi musicali come ha fatto Peter Gabriel. In questo senso penso che la World Music sia un fenomeno negativo, perché mischia le varie espressività astraendole dalla loro storia. In effetti far risuonare nello stesso pezzo un canto africano per terze, della musica yiddish e del folklore greco (faccio degli esempi a caso, ovviamente) non ha grande significato. Si rischia che tutto diventi uguale a tutto, che ogni esperienza perda la sua specificità, il suo spessore, le sue radici. Che si spezzi la Storia. 
 
Questo suo ragionamento ci mette tuttavia davanti ad un problema. Lo stesso problema che suscitano l’opera e la denuncia di Pierpaolo Pasolini , che a lei fu molto vicino. E’ possibile creare un linguaggio nuovo, un arte nuova , avendo lo sguardo rivolto al passato?
Non è solo possibile,è necessario. Dobbiamo piantare sulle ceneri e sulla terra della nostra storia e della nostra tradizione se vogliamo guardare in avanti. Non possiamo recidere i legami. Vede, io nel 2005 ho messo in musica Le ceneri di Gramsci, poemetti scritti da Pierpaolo nel 1957 , ben diciotto anni prima della morte e che testimoniano della sua capacità di leggere i tempi. Li ho rielaborati per un coro di Bologna. La scrittura musicale, che si basa anche su antichi canti religiosi popolari riesce forse a dare un senso nuovo, una maggiore evidenza, una certa consistenza alla raffinata astrattezza del linguaggio poetico. Voglio citarle questi pochi versi di quell’opera “Ma io con il cuore cosciente / di chi soltanto nella storia ha vita / potrò mai con pura passione operare / se so che la nostra storia è finita?”. Qui c’è il senso della mia ricerca e quella di tanti altri che hanno combattuto e combattono per resistere all’omologazione, all’appiattimento, alla volgarità.



Tags: Dal punto di vista dei Serpenti, folk, giovanna marini, intervista, Marco Buttafuoco, musica popolare, recensione,
20 Settembre 2011


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