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MUSICA ROCK - FESTIVAL

MEI Day

Lo scorso fine settimana a Faenza c’è stato il Meeting delle etichette indipendenti (edizione 14). Ecco un anomalo reportage, occasione anche per lanciare un Sos rispetto al concetto di “indipendenza” nell’era di internet 


di Simone Dotto

 


iem.JPG“Servizi video e multimedia a prezzi indipendenti”. Così recita uno dei tanti volantini pubblicitari che ti si accartocciano per le mani mentre passeggi nel centro fieristico di Faenza. Prego notare che la parola “indipendenti” non ha virgolettati o corsivi di sorta: se ti trovi da queste parti generalmente o sei un musicista o in qualche forma un addetto ai lavori, e allora non c’è nessun bisogno di spiegarti che cosa significhi la parola magica.
 
E’ così vero, che quello che nasceva quattordici anni fa come Meeting delle Etichette Indipendenti, ha ormai assunto la denominazione semplificata di Meeting degli Indipendenti. Le ragioni non sono difficili da capire: la logica del tutto-gratis portata in dote dal web ha assestato alle grandi produzioni discografiche delle bordate tali che l’onda d’urto è arrivata fino alle sorelle minori, già in cronica mancanza di finanze molto prima della “rivoluzione digitale”. Qualcuna non è sopravvissuta, qualcun’altra ha solo traslocato, mettendo un piede nel mondo telematico o cercando di declinare tutta la vecchia filiera di produzione-distribuzione-promozione nei modi più disparati. Più spesso sono stati gli stessi musicisti i primi a farsi i conti in tasca e a valutare i tanti vantaggi - soprattutto economici - di una produzione fa-da-te. E poi, diciamocelo, il grosso degli introiti di una piccola band, quando gli introiti ci sono, non è mai arrivato dalle vendite dei dischi, ma casomai dai concerti. E allora le case discografiche, grandi o piccoli che siano, vadano pure, che gli indipendenti restano, anche più liberi di prima.
 
Ma fingiamo di doverlo mettere per iscritto, quel che vuol dire “indipendente”. Nel volantino qui sopra evidentemente si strizza l’occhio alle scarse fortune economiche che di solito accompagnano chi intraprende una carriera nel sottobosco musicale: “indipendente” come “poveraccio”, suppergiù. Ma se ci vogliamo attenere per un attimo allo Zingarelli, però, “indipendente” è un termine che si definisce solo in negativo rispetto a qualcos’altro, proprio come “alternativo”: non dipendere da qualcosa, essere alternativo a qualcosa… E questo qualcosa fino a pochi anni fa erano proprio le major del disco. Definire una musica in base al contratto di chi la suona non aiuterà a capirsi sul fronte estetico, ma ha il vantaggio di circoscrivere il concetto almeno in ambito tecnico. I guai arrivano quando, in mancanza di un Qualcos’altro contro cui scontrarsi, si è obbligati a dare alla parola un senso positivo. Provateci voi a spiegare che cosa significa “indipendere” a quelli che musicisti non sono e che in questo periodo dell’anno hanno di meglio da fare che passeggiare per il centro fieristico di Faenza. Per giunta con questo freddo.
 
renzo_arbore.jpgAnche guardando il programma della XIV edizione del Mei le idee non si schiariscono di molto: a fare fede basterebbe la scaletta della serata inaugurale, quella dove si consegnano le targhe del Pimi (Premio Italiano Musica Indipendente). La concezione di “indipendente”… dipende, proprio da chi di volta in volta sale sul palco: dai “soliti noti” del giro alternative rock si passa via via all’indipendente che fa rima con esordiente, a quelli che “indipendono” perché “lo fanno strano” o perché ripropongono la fortunata equazione tra indipendenza e sonnolenza: la cara vecchia musica “impegnata”, punitiva e antipopolare per definizione.
  
Eppure sulla passerella dei premiati trova posto anche qualche volto che popolare lo è eccome. Ad esempio quello di Paolo Belli. Il Paolo Belli che suona in prima serata a Raiuno? Proprio lui, che questa sera eccezionalmente “indipende” in qualità di pigmalione e promotore di un concorso (“Giovani e Belli”….) per selezionare nuove promesse della musica - a sua immagine e somiglianza, si direbbe. E poi, sempre per attività di talent scouting, Renzo Arbore. Ma Renzo Arbore quello dell’orchestra Italiana, quello di Pigliate ‘na pastiglia? Sì, vabbé, ma anche quello di Meno siamo meglio stiamo, che solo dal titolo fa già moolto indie… E poi è uno che “indipende” alla grande, perché, e lo dice lui stesso, “sono sempre stato indipendente di testa”. E per cotanto merito lo insigniscono di un clarinetto in ceramica creato dai rinomati artigiani di Faenza, e di una bottiglia di vino consegnatagli personalmente da una rappresentante di Confindustria. Confindustria quella di… Confindustria? Ma come, adesso pure Confindustria “indipende”? Massì perché questa è la presidente dei Giovani di Confindustria. E poi il vino con cui viene premiato Arbore è prodotto dai viticoltori emiliani, tutti – assicurano dal palco – “assolutamente indipendenti”.
 
Se i contorni fin qui vi sembrano leggermente sfumati sappiate che la Fiera fa di più, di meglio. Assieme ai tanti - e meritori - spazi dedicati all’esibizione di quasi quattrocento giovani band, c’è un Palazzo delle Esposizioni tutto tributato alla Canzone d’autore (Mei d’autore) che però diventerà zona franca per liutai, birrai, acconciatori e artigiani locali di tutte le specie. Fra gli appuntamenti della due giorni, salta all’occhio un tributo a Raffaella Carrà e la presenza dei gestori di un portale chiamato Salsa.it. E mentre nella sala stampa si affronta serenamente il capitolo blog pirati e download illegale, nel padiglione accanto si trova il Quartier Generale della Siae, vero e proprio convitato di pietra, che fulmina il viavai di avventori con lo stesso amore con cui si guarda qualcuno che ti ha appena scassinato casa. Perché indipendenti, sotto-sotto, fa rima pure con “scaricatori impenitenti”, ed è un’altra cosa che chi passeggia da queste parti deve dare per scontato.
 
phantom.JPGLe sole colpe degli organizzatori del Mei in tutto questo stanno nell’essersi guadagnati coraggiosamente uno spazio - in un tempo in cui l’aggettivo “indipendente” applicato alla musica conosceva un significato preciso - e di averlo difeso per quattordici anni, cercando di restare sintonizzati con le evoluzioni della scena (qui a fianco, i Trabant). Accade però che la “scena” oggi non sia più tale, trovando l’unico comun denominatore di una scarsa attenzione da parte dei grandi media - e in alcuni casi (vedi i nomi sopra) nemmeno in quella. Per quanto se ne dica è nei palinsesti radiofonici e televisivi che oggi si radunano le vere elite: sempre gli stessi nomi, le stesse facce – e la stessa musica - con un diritto di cittadinanza mediatica che è un’esclusiva per privilegiati. Normale che al di fuori degli studi tv e dei palinsesti radiofonici si affollino tantissime cose per pochissime orecchie.
 
In questa confusione generale il Mei naviga a vista, e appiccica i bollini d’indipendenza un po’ dove capita, per essere sicuro di non sbagliare. Ma se i confini tecnici del termine non hanno più ragion d’essere e di artistici proprio non ce ne si vuole dare, allora facciamoci coraggio e togliamo di mezzo l’aggettivo incriminato una volta per tutte. Chiamiamola con il suo nome: Musica, e basta. Popular Music, tuttalpiù. E poi, siccome una fiera di tutta quanta la Popular Music sarebbe bella ma proprio non si può fare, tanto vale mettere dei limiti almeno in fatto di qualità, e rassegnarsi fare un po’ di selezione all’ingresso. Usare lo spazio a disposizione per proporre solo ciò quel che si ritiene valido e assumersene le responsabilità, senza usare la scusa paracadute dell’indipendenza e con il rischio di non accontentare proprio a tutti. E’ anche questo, in fondo, il bello di essere indipendenti.  



Tags: faenza, indipendente, mei, recensione, Simone Dotto,
03 Dicembre 2010

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8.340003
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