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TEATRO

Bob Wilson, Brecht e la miseria

L'opera da tre soldi nello straordinario allestimento del regista americano: un capolavoro espressionista fondato sulla bravura degli attori-cantanti-ballerini del Berliner Ensemble. Da vedere tra poco, proprio a Berlino


di Nicola Arrigoni


In tempi di banalità estetiche, di approssimazione di pensiero, il regista californiano Bob Wilson dà conferma di un rigore e di una complessità d’analisi che ne fanno un maestro dello spettacolo dal vivo, un punto di riferimento illuminante. Per rendersene conto bastava assistere a L’opera da tre soldi portata in scena qualche tempo al Valli di Reggio Emilia con gli straordinari attori/cantanti del Berliner Ensemble. Brecht comme il faut ma senza nostalgie filologiche: la genialità di una regia al servizio della drammaturgia ma non per questo prona alla più sterile tradizione. 
  
brecht verticale.jpgWilson declina la storia di Mackie, capo di una banda di malavitosi londinesi, e del suo matrimonio con Polly, la figlia di Peachum, proprietario della ditta L’amico del mendicanterielaborando l’iconografia degli albori del cinema, con particolare attenzione ai grandi capolavori di Chaplin e attingendo a piene mani dalle opere espressioniste di Rudolf Schlichter o di George Grosz. La scena finale dell’impiccagione e dell’improbabile salvezza in extremis di Mackie, graziato dal re, è invece un’esplicita citazione della messinscena del 1928 a firma di Brecht stesso. 
 
L’apertura è da urlo, con quei meccanismi luminescenti che raccontano di un’industrializzazione agli albori e gravida di speranze, ma anche pronta a tritare gli uomini. Il trucco bianco laccato, gli occhi cerchiati, le sopracciglia disegnate fanno di ogni personaggio una maschera grottesca, espressionista. Il segno ricorrente è quello delle sbarre della prigione in cui più volte sarà rinchiuso Mackie, sbarre luminose che definiscono lo spazio scenico insieme alle luci. Qualche panca, un letto, la forca e le già citate sbarre sono gli unici orpelli scenici e poi questa Opera da tre soldi è un tripudio di colori, un gioco di luci in cui si riflette il mondo terribile dei bassifondi e della miseria, raccontato con austera secchezza e con poetica inventiva. 
 
brecht verti2.jpgTutto si tiene magicamente, senza alcuna sbavatura, anche e soprattutto grazie a una straordinaria tenuta scenica dei membri del Berliner Ensemble: attori, cantanti, ballerini, corpi flessibili e docili, strumenti intensi e veri al servizio della scena e del regista. Non c’è una caduta di tono, non c’è un momento di stanca in questa Opera da tre soldi che rielabora con acume le inquietudini dei primi del Novecento, denuncia lo squilibrio fra poveri e ricchi, fra potenti e non, e che chiede un’equa distribuzione delle risorse per assicurare la dignità a tutti. 
  
E’ questa la vera utopia brechtiana, che fa impallidire anche il lieto fine di assoluzione impossibile: omaggio alla The Beggar’s Opera di John Gay ma anche sottolineatura dell'esistenza di un’improbabile deus ex machina che rende – se possibile – ancora più amara la riflessione politica, in cui si rispecchia con sconcertante attualità il disagio dei nostri anni di crisi. Come dire che con L’opera da tre soldi di Bob Wilson il teatro s’è fatto "portatore sano di pensiero" sul mondo e sulle sue inquietudini. Indimenticabile.



Tags: berliner ensemble, bertold brecht, jonh gay, l'opera da tre soldi, Nicola Arrigoni, recensione, robert bob wilson,
08 Aprile 2011

Oggetto recensito:

L'OPERA DA TRE SOLDI DI BERTOLD BRECHT, DA JOHN GAY, REGIA DI ROBERT WILSON

Produzione: Berliner Ensemble
Prima assoluta: 27 settembre 2007
Visto: al Teatro Valli di Reggio Emilia il 12 dicembre 2010
Prossimamente in scena: 26 e 27 aprile, Berlino

giudizio:



9
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