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TEATRO

Il documentario va in scena

Tra le forme che stanno ridando vita ai film "di non fiction" c'è anche questa: la non fiction che non è nemmeno film. Andrea Roncaglione porta un suo mancato progetto documentaristico-narrativo sugli animali sui palchi teatrali con Avrei preferito essere Jacques CousteauSorpresa e risate sono assicurati


di Igor Vazzaz


In un’epoca caratterizzata dalla debordante presenza dell’informazione e dalla fallace impressione di poter accedere a qualsiasi dato possibile, quella del documentario è un’espressione che ha subito varie contaminazioni, specie grazie alle declinazioni offerte dal mezzo televisivo. Non solo con “la cultura in prima serata” in forma di (pseudo)scienza o reportage storico, ma pure come rielaborazione formale: piccolo e grande schermo sono ormai assai frequentati dal mockumentary, fiction presentata come documentario oggettivo, a sottolineare quanto sia problematica la questione dell’oggettività nel mondo comunicativo.
 
Nel suo piccolo, lo scrittore e drammaturgo torinese Andrea Roncaglione ha da qualche anno escogitata una forma scenica piuttosto originale, il documentario dal vero, elaborazione che fonde stilemi tipici del documentarismo con fratture e frizioni comiche di marca teatrale. Traslare in scena una forma legata al video presenta peraltro un interessante paradosso: cinema e tv appartengono ai mass media, il teatro no, perché non media niente, anzi, si basa sulla presenza/compresenza di attore e spettatore. Il suo Avrei preferito essere Jacques Cousteau muove da un episodio biografico (non è dato sapere, né importante, se veritiero o meno) che lo vide, anni or sono, alle prese con la stesura di un testo per un documentario sui ghepardi.
 
Scena spoglia. Ai lati due musicisti/rumoristi (Alberto Vitale Brovarone e Vito Miccolis) scortati da una voce fuoricampo. Timbro pulito, eloquio piano, lieve inflessione settentrionale, la voce parla in prima persona, lasciando intendere che a pronunciarsi sia lo stesso autore. Narra dell’amore per i documentari e della proposta ricevuta anni prima, subito accettata ma che, con triste sorpresa, non ebbe seguito alcuno. Eppure, ci assicura, erano state seguite alla lettera tutte le indicazioni: assegnare nomi propri agli animali (Sasha, il ghepardo, Linda Thompson, la gazzella, e così per ogni esemplare di ogni specie coinvolta, creando una babele anagrafica assai improbabile), dare un forte taglio narrativo: nessuna risposta, nessuna notizia e, soprattutto, nessun pagamento. Così sarà il pubblico in sala a fruire della storia di Sasha. 
 
Il palco si fa savana: nessun effetto speciale (Roncaglione ironizza a più riprese su questo punto), solo suoni. I musici, infatti, danno vita a un riuscito panorama fonico di versi gutturali e rumori stridenti ottenuti da strumenti etnici variamente usati. La tessitura sorprendente non lesina effetti di grande comicità: il testo d’umorismo quasi british entra in conflitto con l’enunciato, grazie sia all’intonazione sia ai suoni prodotti in scena. Il pubblico impiega qualche minuto per sintonizzarsi e ca(r)pire il gioco, dopodiché le risate sono puntuali, precise, piene. Il pezzo sul ghepardo si chiude e Roncaglione inanella un’indovinata serie di altri documentari dal vero: salmoni che si riproducono, episodi occulti, uragani, il meccanismo del sonno, ogni argomento plausibile di divulgazione scientifica.
 
L’effetto massimo, però, si ha quando a voci e suoni s’aggiunge la presenza in scena di Cristian Cerruto Delmastro e di Ambra Senatore. È soprattutto lei, attrice, ballerina e coreografa, il valore aggiunto dell’operazione di Roncaglione: volto da dipinto, lunghissimi capelli chiari, un’armonia assoluta e potente nei movimenti, Ambra è dotata di raro umorismo, senza però rinunciare a un’innegabile fascinazione estetica. Il pezzo in cui recita “nei panni” dell’uragano è il migliore: il tableau vivant con la larga veste aperta e mossa dai “venti” provocati dai due musicisti è di sbalorditiva ricchezza espressiva, persino al di là della cornice dello spettacolo medesimo.
 
L’allestimento di Roncaglione ha, però, un limite ineludibile: al netto delle risate e d’una scrittura ben condotta, il gioco è sempre il medesimo. In certi casi sfondare i cinquanta minuti è un eccesso, pensiamo, per esempio, ai Sacchi di Sabbia, maestri nel dosare e dosarsi. Nondimeno, Avrei preferito essere Jacques Cousteau rappresenta un’interessante proposta, in grado di sfruttare ottimamente la commistione dei generi per una elaborazione che, comunque, resta spiccatamente teatrale. Non è poco e per questo ci uniamo agli applausi del pubblico.



Tags: Alberto Vitale Brovarone, Ambra Senatore, Andrea Roncaglione, Avrei preferito essere Jacques Cousteau, Igor Vazzaz, recensione,
18 Gennaio 2012

Oggetto recensito:

Avrei preferito essere Jacques Costeau, di Andrea Roncaglione

Prossimamente: Torino, Maché, 22 gennaio 2012 (all 21 e alle 22.30); per altre informazioni vedere il sito www.andrearoncaglione.com 
 
Visto a: Auditorium Vincenzo da Massa Carrara di Porcari (Lu) il 12 novembre 2011, all’interno della rassegna di performance contemporanea Quello che forse vorresti vedere, promossa da SPAM! Rete per la arti performative
 
Jacques-Yves Cousteau: esploratore, navigatore, oceanografo francese, è considerato uno dei padri del documentarismo; nato nel 1910, è deceduto nel 1997, non senza aver conseguito la Légion d'honneur; figura importantissima ben al di là dei propri campi d’azione, Cousteau è stato destinatario di un infinito numero di tributi e omaggi affettuosi da parte del mondo dello spettacolo

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