Che cos'è il nervosismo?
Tutta la mia esistenza è stata costellata da improvvisi scoppi d'ira e di perdono. Fughe, attacchi, e sotto tutto questo bruciore, una domanda: cos'è il nervosismo? È una sorgente? È una fonte? Un diaframma energetico? Una forma? Un trasferimento sinattico? Uno scolo di molecole? Aiutatemi a trovare una scala Richter del nervosismo. Diventate adepti della religione di Gerhard Richter. Non commentate questo blog. Siate delicati. Io vi amo, ma vi odio però. Vi amo tutti.
Il nervosismo è leggere la prosa scontata dei vicedirettori di Repubblica. Il nervosismo è la sordida inconcludenza delle frasi che ascolto quando vado a bere il cappuccino, impiegati di banca e commessi che vivono come ragazzini delle scuole medie, un mondo delimitato da piccoli cerchi di insoddisfazioni e soddisfazioni. Ora il carattere è cambiato. Sono più ipocrita e ingoio il seme delle mie possibili reazioni. Mi piace la difficoltà. Non vi sopporto. Poi vi chiedo scusa. Poi vi detesto di nuovo, inutili frequentatori di questo blog. Vale la pena di lottare con voi, per tirare fuori reazioni sensate.
Non sopporto l'inutile messe di commenti al sito di Repubblica, ai blog. Ma perché, anziché commentare, non vi mettete a leggere? Leggere Barthes, Šklovskij, Roth, Bellow, Luc Sante, Flaubert, Maupassant, Jung, e tutti gli altri. No, Jung no, lasciamolo perdere. Leggete Breyten Breytenbach.
Perché il vostro cervello non produce pensieri più sottili? Perché devo ascoltare il modo in cui fate notare gli errori procedurali? Perché non ascoltate musica sempre nuova? Perché non siete il miglior critico musicale del pianeta, il più potente concentrato di pensieri pensati a un tempo solo? Perché non avete la mitezza dell'approccio di Matteo Pericoli? Perché non ascoltate il Theatre of Voices? Perché non ascoltate The Antlers, Anne Sofie von Otter e poi anche i Baustelle, e poi Dai canyon alle stelle di Messiaen? Perché non vi stordite di pesci alcolici al porto di Amsterdam? Perché non capite che i blog lasceranno solo una filanda sconcia di confessioni nervose? L'intera storia della produzione di conoscenza verrà bagnata dalla luce di un uomo cui saltano i nervi?
Qualche giorno fa ho incontrato in un bar di Milano Franco Debenedetti, un uomo intelligente e ultrasensibile, che mi ha fermato il sangue sul polso per farmi capire che ci stavamo capendo. È l'unica creatura più nervosa di me sotto la volta celeste di via Meravigli. Lui ne ha settantasette e io trentadue. L'operaio che sta rifacendo il terrazzo di casa mi ha appena rivolto un gesto amichevole, la maglia di nuvole si è aperta dando l'impressione che la stagione sia effettivamente giugno. L'ennesima sinfonia si è involata nel percorso elettronico ariele degli mp3, togliendo il posto a Jacques Brel. Vorrei scrivere del diario filmato di un regista d'avanguardia. Vorrei che battesse meno forte il cuore. Vorrei essere una persona migliore e dare un senso a ogni stretta di mano.
Cosa fuggi, non c'è modo di scappare. Perché devo combattere con la signora sposata che gestisce il conto corrente e che applica solo le regole? Poverino, è andato fuori di testa. Perché non dovrei usare due pesi e due misure? Non sei divertente, capisci?
Perché dovrei negare che l'unico piacere da cui si sopporta di ricevere piccole dosi di dolore è quello di frequentare menti eccellenti?
I gruppi su Facebook delle lesbiche, il sentimentalismo delle lesbiche su Facebook, l'orrendo degrado dei ragazzini con il taglio Kandinskij: l'orrendo taglio del discorso che avverto tra le parole di una conduttrice radiofonica che m'intervista chiedendomi idiozie. Lui non vuole che la sua ragazza legga quelle frasi incise, quelle frasi amare.
Il padre mi ha rincorso per tutto il locale e ho dovuto piegarmi ai suoi colpi, dietro lo sguardo del cuoco che stava dalla sua parte, perché l'unica mia alternativa era l'Africa fiammeggiante del forno in cui stavano bruciando le pizze.
orror
caro lettore ignobile,
l'orrore della domenica non si supera nemmeno con la consapevolezza di essere più fortunato di te.
l'orrore della domenica ricorda quello di Steiner, ne La Dolce vita
e la Dolce Vita mi fa venire in mente Flaiano
più che Fellini
e questo dice tutto della deprimente piana su cui si compie il picnic dell'orrore della domenica,
e Flaiano mi fa venire in mente la figlia handicappata di Flaiano e la sua disperazione
comprovata da questa frase:
'vivere è una serie di errori interrotti a tempo ognuno dei quali sostiene il precedente e si appoggia sul seguente; finiti gli errori, finito tutto'.
credimi, caro lettore di blog, utente della rete invidioso perchè seduto sul tuo divano,
mentre sulla tabletta del macbook ipad iphone si svolge la rotolante meraviglia di tutto ciò che è vano e squilla
credimi: sei qui per leggere, sei qui per perdere tempo
i battiti della tastiera - il soffice sconforto dei polpastrelli sul vetro sensibile
tutti i singoli io-tocco di questo pianeta
sono la metrica di questo orrore domenicale pieno d'invidia per le domeniche di tutti gli altri
per le domeniche perdute
che erano esattamente uguali a questa
e non volevi vederle
e non volevo viverle.
non mi sono mai invidiato, di domenica
e persino steve jobs, la domenica, pensa che sia tutto completo, finito, completo di errori.
La virtù (politica) non sta nel mezzo
La cosa allucinante è che per l'uomo medio - diciamo il commerciante, il pensionato di basso profilo, l'operaio nella sua incarnazione da ventunesimo secolo, l'impiegato brutale, il piccolo imprenditore e l'artigiano, generalizzando - il governo regionale della Lega in Piemonte sarà MOLTO migliore ed efficace di quello di centrosinistra. E' solo sulla prospettiva e sul divertimento serio, sulla profondità di campo esistenziale e sociale, che sarà un disastro.
Ma se non siamo capaci di assorbire un gruppo di valligiani che si oppongono alla costruzione di un tratto ferroviario; se non sappiamo manovrare i neo-populisti usandoli e poi mettendoli nell'angolo; se non sappiamo gestire il grande numero - non dovremmo fare politica. Un eccesso di idealità o un eccesso di cinismo sono le due sole vie. Bresso, Bairati, etc, sono purtroppo come noi - le élite urbane confuse, ambiziose, appena un po’ visionarie, gentili e inoffensive: né abbastanza idealiste né del tutto ciniche.
Sette piccole note
1. Ho passato diversi giorni in ospedale, da visitatore/parente, in un reparto ginecologico-oncologico. Le vestaglie di donne anziane e giovani dettano il ritmo di passeggiate incerte. Ho avvistato ancora una volta la disgrazia del corpo femminile: ho avvistato ancora una volta la grazia del modo femminile. Un’infermiera con i tacchi faceva girare la testa a signore pallide che avevano appena vomitato.
2. Durante una cena in piedi ho avuto una conversazione interessante con Ginevra Elkann - tra le poche persone non americane che conosceva il Museum of Jurassic Technology dell'intrepido Mr. Wilson. In Italia ci sono tre categorie: le persone di qualità, un gruppo instabile e mutevole, le persone mediocri - molte, compatte, fintamente glaciali come gli occhi di Roberto Cota - e infine le persone che conoscono la straordinaria wunderkammer raccontata da Lawrence Weschler nel suo meraviglioso libro Il gabinetto delle meraviglie di mr. Wilson. La prima volta, nel 2000, varcando la soglia nera dello smilzo edificio nella periferia di Culvert City, Los Angeles, ricordo di aver provato una sensazione pensata, un concetto chiaro e forte espresso sotto forma di brividi e visione: lo Stupore Infantile brillava tra noi, e ballava con passaporto americano.
3. Sto leggendo Storia della mia purezza, libro per ora bellissimo di un romanziere italiano - e mio fratello in armi - Francesco Pacifico. Romanziere italiano è un'altra categoria fatta di eccezioni, come diceva Giuseppe Pontiggia. La gara è aperta, e lui ha fatto diversi passi avanti: chi diventerà il Saul Bellow cattolico-romano?
4. La scorsa settimana è iniziato con successo un lungo cammino chiamato Canale 150. Trovate tutto su www.canale150.it. Centocinquanta italiani di oggi racconteranno centocinquanta italiani di ieri. Un festival ipercinetico di racconti orali, che andrà su La7 e si muoverà nell'etere in diversi modi. Poi diventerà un libro - una repubblica fondata sull'individuo. Bisogna lottare, e lottare da soli, contro questa meravigliosa malattia dell'essere italiani, di vivere qui. Si lotta spostando il proprio corpo più velocemente possibile, smettendo di adagiarsi, vivendo in costante conflitto con le proprie abitudini. Si lotta sputando e mangiando, e ricomponendo il piatto andato in frantumi.
5. Quando scrivi sul domenicale del Sole24Ore ricevi bellissime lettere da uomini colti e anziani sparsi come piante rare sulla neve della penisola. Uno di questi ha passato tutta la vita a scambiarsi lettere con Cristina Campo. Poi mi ha raccontato che la sua casa è andata in fiamme.
6. Ero a Ciampino, quando Gillo Dorfles, che ha cent'anni, mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica del cellulare. Poi il piccolo aereo ha effettuato il decollo. L'idea improvvisa, in mezzo alle nuvole italiane, di lasciare un messaggio sulla segreteria telefonica di un ragazzo che sta per nascere. Fra settant'anni.
7. Nel frattempo sono morti Alex Chilton e Mark Linkous, due scrittori di canzoni malinconiche. La forma del blog ha qualcosa in comune con l'attività infantile di mettere in ordine le briciole sul tavolo. Le briciole, tristezza e inconsistenza. "Non ho niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso" - diceva il protagonista di 8 e 1/2. Chiediamoci cos'è un museo. Chiediamoci cos'è un romanzo. Rimettiamo in circolo l'energia e non sprechiamo tempo con i commenti.
Cose che rendono sopportabile il sabato italiano
Un libro, La consistenza della luce, cui manca qualcosa. Per esempio una citazione del bellissimo testo di Lawrence Weschler, L.A. Light.
In the Neighborhood di Tom Waits. La colonna sonora straziante di un funerale che deve ancora succedere. Le nostre vite, in realtà, sono puntellate da funerali che devono ancora succedere.
Neighborhood # 1 degli Arcade Fire.
I Notebooks di Francis Scott Fitzgerald che hanno dato origine a un volume di McSweeney’s in cui diversi scrittori ampliano e danno forma a idee espresse in nuce dall’autore di Tenera è la notte.
La consapevolezza che nessun regista di serie tv godrà della stessa selvaggia libertà di David Lynch nel produrre gli episodi progressivamente sempre più devastati e surrealisti di Twin Peaks – e la consapevolezza che gli episodi migliori, quelli che resteranno, sono meno dotati di selvaggia libertà: si piegano alle costrizioni: s’inginocchiano al doppio culto della dipendenza narrativa: la religione del personaggio (un brodo, una densità) e la religione della trama (un filo, una terra-piatta). Due religioni violentemente razionali.
Pochi ma buoni
Noi crediamo che le riserve invisibili siano anche quelle costituite dalle traiettorie di pensiero, di accensione intellettuale, di produzione che hanno caratteristiche anomale, difficilmente accettate dalla stolida contemporaneità, coraggiose per eccesso di generosità, generose per eccesso di coraggio. Donne e uomini che hanno attraversato le arti connettendo le discipline in modi inimmaginabili prima. Poeti, autori, artisti che hanno sorretto il corso della Storia con il proprio carico di volontà, di qualità, di opere, spesso accucciati nella tenace invisibilità di trincee imposte dal mondo o dalla mente.
Le conseguenze virtuose delle bombe
Sarò lucidamente felice quando leggerò un articolo sulla riforma dell’health care di Barack Obama che menzioni la diretta consequenzialità che esiste fra gli introiti spaventosi delle società assicurative americane, basate in buona parte sul funzionamento del sistema della sanità privata, e le incredibili donazioni che molte di queste società fanno a istituzioni culturali, che distribuiscono grant e fondi a menti libere ed eccellenti che dall’energia partita male costruiscono piccoli e grandi coni di progresso autentico.
Joan Didion e la freddezza gentile
Pacific Days è interessante perché ripete in modo virtuosistico una scelta strutturale che già in altri testi della Didion si vede all’opera, cioè la giustapposizione di filoni di inchiesta su vari aspetti del mondo esterno a partire da esperienze autobiografiche dell’autrice, ma senza scivolare mai nel memoir vero e proprio. Come se l’esperienza autobiografica – l’acquistare una casa a Los Angeles, o il venderla, o il frequentare per anni Honolulu – fosse il trampolino e il “resto del mondo” lo spazio concavo, avventuroso, della piscina: uno spazio da esplorare, cui affibbiare frasi, intuizioni, shift d’indagine conoscitiva e linguistica. I diversi filoni, in questo particolare caso, sono legati dal tratto comune di un’appartenenza geografica: la presenza del Pacifico, il lambire o l’esser circondati dall’oceano: l’attraversarlo o il temerlo, il cambiare la propria vita a causa dell’oceano. Il testo è degli anni settanta ed è ambientato negli anni settanta, grosso modo. Si parla del mercato immobiliare alle Hawaii – bellissima descrizione del fee simple, la condizione che caratterizza le compravendite di case libere da vincoli finanziari vessatori, in quello stato americano per decenni dominato da connessioni economiche di tipo feudale (fino agli anni sessanta il 15% della terra era di proprietà dello stato federale, il resto di proprietà di poche grandi famiglie, o fondi immobiliari, della costa Ovest o Est degli Usa, e ogni compravendita prevedeva un fee per i precedenti “colonizzatori”).
Art Spiegelman e l'albero della conoscenza
Non parlerò io
Gentile lettore,
ho cambiato idea. Volevo lasciare questo spazio, non trovavo il modo di occuparlo. Ora ho trovato un modo. Non parlerò io, parleranno i ritagli di notizie, storie, idiozie che troverò in giro. Nel weekend è successo, com'è noto, qualcosa che conferma una constatazione profonda e seria: che l'Italia è un paese grottesco, in cui succedono in modo grottesco cose grottesche. Gli attentatori sono grotteschi. Il volto delle istituzioni è grottesco. I sacerdoti,
specie novantenni, sono grotteschi. Le interviste e i commenti sono grotteschi. Non posso esimermi dal segnalare, fra i trouvaille, tutto ciò che mi pare suffraghi in modo efficace questa triste condizione.
15 dicembre 09
Corriere della sera: Perché parla di un Berlusconi "terrorizzato"?
Don Luigi Verzè: "Il problema non è lui. Lui si è già ripreso, la forte emozione che ha provato è già alle spalle. L’ho rivisto all’ora di pranzo, e il suo ottimismo aveva già preso il sopravvento. Anch’io sono un ottimista; ma perché ho novant’anni, e mi sento ormai nelle braccia di Gesù Cristo. Berlusconi è più ottimista di me. Il problema è l’odio. Questo episo dio è anche un monito. Il segno che è davvero il tempo di cambiare la Costituzione".
We'll meet again
questo blog si estingue qui – factum est, appena nato, già malato.
Ho capito che non funziona, ed è un problema di modalità.
La modalità – questa – richiede confidenza. Io sono incapace di confidenza.
Il mio ego retorico è malato di braminismo - malattia di cui troverai tracce in certe poesie di Robert Lowell, o meglio, nell’atteggiamento che le ha precedute prima di atterrare dalla nuvola delle intenzioni alla forza della forma. E’ braminica l’aura delle recensioni che scriveva Martin Amis sul New Stateman negli anni settanta. E’ braminico il tono del Rem Koolhaas di Delirious New York. E’ qualcosa che risplende nelle maglie infinitesimali di Serge Gainsbourg quando canta il suo inno malato a Brigitte Bardot, dal vivo, per l’ultima volta. Ciascuno porta le proprie stimmate. Ciascuno porta la propria scala di colori interiori.
I miei non sono adatti al blog. Non sussurrano all’orecchio. Non sottintendono che siamo sullo stesso piano – io mi accendo solo quando c’è una superiorità o un’inferiorità, è colpa mia, chiedo perdono a tutti: ho bisogno di imparare, ho bisogno di insegnare.
Ma gli uomini e le donne che fanno Giudizio Universale sono persone d’onore, e visto che sospetto di esserlo anch’io, e ci sono molte cose da dire, e molte cose da fare, e molte cose da far dire e far pensare - we’ll meet again.