Inglese ma nato in India, lo scultore Anish Kapoor è in mostra a Milano: le sue installazioni instaurano un nuovo rapporto con il visitatore. Vederle non basta, bisogna toccarle, percorrerle, abitarle, sentirsene avvolti. Un'esperienza 'fisica' che ci spinge a lasciare i nostri "perché" fuori dal tunnel...
di Anna Colafiglio
foto di Andrea Melzi
“Il bello dell’arte astratta è che il significato è sempre a margine, e non è necessario svelare la sua collocazione. A volte non sapere va benissimo”. La chiave per approcciarsi all’arte di Anish Kapoor è proprio questa: svincolarsi dalle catene dei perché in nome di un nuovo rapporto con l’opera che si ha di fronte. Poche domande, dunque, ma tanta capacità di “ascoltare”: l’opera, se stessi, l’ambiente circostante.
Milano gioca su due sedi differenti per presentare una mostra d’eccezione: la Rotonda di via Besana e la Cattedrale della Fabbrica del Vapore sono spazi ottimali per accogliere due esposizioni molto diverse.
La Rotonda di via Besana ospita la grande installazione My Red Homeland (2003), un tripudio di cera rossa (del celebre 'rosso Kapoor', s’intende) disposta in un contenitore circolare, continuamente schiacciata e ricomposta da un enorme braccio meccanico che gira lentamente, in circolo, al suo interno. Attorno a essa si colloca una serie di sei opere in acciaio riflettente: grandi superfici, differenti per forme e dimensioni, capaci di portare il mondo circostante al proprio interno attraverso un gioco di riflessi e distorsioni (a sinistra: S-Curve, 2006).
Superfici scultoree che generano nel visitatore un senso di straniamento e spaesamento: si cammina all’interno di una dimensione del reale alterata, nella quale lo spettatore è parte attiva e indispensabile. Con la sua presenza e il suo movimento nello spazio, egli contribuisce, infatti, alla creazione di un’opera dinamica, la cui percezione muta a seconda della vicinanza/lontananza dall’oggetto artistico: quello che ne consegue è un gioco costante e mutevole, che altera la forma del reale servendosi delle sue stesse apparenze, in un continuo alternarsi di dritti e rovesci, vortici e caleidoscopici sdoppiamenti. La sensazione è molto “fisica” e coinvolge un piano strettamente sensoriale: lo spettatore è colto da un lieve giramento di testa e da una sensazione di perdita dell’equilibrio, accentuata, in alcuni casi, dai riverberi sonori che si percepiscono nel momento in cui si è molto vicini all’opera.
Perfetto è il modo in cui, le opere in mostra, vanno a integrarsi con l’ambiente circostante: non oggetti “ospitati” nello spazio e a esso estranei, ma forme armoniche che nutrono lo spazio, rendendo quest’ultimo oggetto indispensabile del loro manifestarsi.
La fluida simbiosi che sussiste tra opera e spazio, diviene ben visibile quando si entra nella Cattedrale della Fabbrica del Vapore, “casa” temporanea dell’installazione site-specific Dirty Corner (2011, sotto a destra): un enorme tunnel percorribile, di circa sessanta metri di lunghezza per tre di diametro, il cui ingresso a calice arriva a toccare gli otto metri di altezza. La scultura è completata da un nastro trasportatore, che preleva terra rossa da un silos collocato fuori dallo spazio espositivo e, lentamente, la trasporta sino al centro esterno della scultura: in tal modo, alla fine della permanenza espositiva dell’opera negli spazi della Fabbrica del Vapore, si sarà formato un cono di terreno alto circa quattro metri.
La scultura è avvolta da un silenzio che sembra una diretta conseguenza della sua presenza; la possibilità di fruire l’opera dal suo interno, permette al pubblico di instaurare un insolito rapporto di intimità con l’opera stessa. I due opposti del maschile e del femminile, dati dalla forma fallica esterna e dall’interno, buia cavità uterina nella quale lo spettatore può avventurarsi, si conciliano armonicamente.
Impossibile da cogliere, con lo sguardo, nella sua interezza, Dirty Corner richiede una memoria tattile e sensoriale, più che visiva: solo percorrendola dal suo interno, nel buio totale, è possibile ricostruirne la forma complessiva. L’arte di Anish Kapoor richiede e genera, dunque, una relazione molto personale e soggettiva tra opera e fruitore: insolita alchimia di grande impatto e grande potenziale, che vale indubbiamente la pena sperimentare.
Tags: Anna Colafiglio, arte contemporanea, Demetrio paparoni, Dirty Corner, Fabbrica del Vapore, Gianni Mercurio, My Red Homeland, Rotonda Via Besana,
Anish Kapoor, Dirty Corner, Rotonda di via Besana, Fabbrica del Vapore
Fino a: Rotonda di via Besana: 9 ottobre 2011; Fabbrica del Vapore: 8 gennaio 2012.
Curatori: Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni.
Ingresso: 6 euro per ciascuna sede espositiva, 10 euro per entrambe le sedi.
Orari: lunedì dalle 14.30 alle 19.30; da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30; giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30.
Info: www.anishkapoormilano.com
Anish Kapoor: nato a Bombay nel 1954, a diciannove anni si trasferisce a Londra, ove si forma e matura la sua peculiare impronta artistica. Suo fondamentale obiettivo diviene, da subito, quello di creare un’arte capace di trascendere i confini e le specificità di genere che separano l’arte orientale da quella occidentale. Tutta la produzione di Kapoor, come affermato dallo stesso artista, ruota attorno al tentativo di realizzare una sua fantasia di bambino: la creazione di una pittura in grado di rendere gli oggetti invisibili; i suoi monumentali non-oggetti scultorei sono la realizzazione pratica di questo costante tentativo. Le opere di Anish Kapoor sono esposte nei più importanti musei del mondo, tra cui si segnalano il MoMa di New York e lo Stedelijk Museum di Amsterdam. Quest’anno, Kapoor è stato il protagonista della quarta edizione di Monumenta con il suo enorme Leviathan, un’opera gigante “imprigionata” nei grandi e suggestivi spazi del Gran Palais di Parigi.
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