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ARTE CONTEMPORANEA

Quel che resta del Fluxus

La relazione confidenziale del movimento d'avanguardia e di uno dei suoi esponenti più pop, Nam June Paik, con la città di Modena è messa in mostra alla Galleria Civica di Palazzo Santa Margherita. Un'occasione per riscoprire il cosiddetto "padre della videoarte" e la sua passione per la grande opera italiana. 


di Mirko Nottoli

Nam June Paik, Reclining Buddha, 1994


La mostra Nam June Paik in Italia, in programma a Modena dal 16 febbraio al 2 giugno 2013, costituisce, con quella da poco terminata a Reggio Emilia a Palazzo Magnani, Women in Fluxus, un dittico ideale sul celebre movimento fondato da George Maciunas nel 1962 che proprio con l’Emilia instaurò relazioni proficue, soprattutto grazie all’attività della casa editrice Pari & Dispari di Rosanna Chiessi.
 
Diciamolo preventivamente a scanso di equivoci: le mostre su Fluxus sono a dir poco ostiche. Perché ostico fu il movimento, per sua stessa natura antiartistico e antiestetico, egualitario, utopistico, interdisciplinare, incendiario, teso a rovesciare ogni consuetudine espressiva e ricettiva. Non è la ricerca del bello infatti l’obiettivo che si propone, bensì l’utilità sociale e in questo processo di democratizzazione dell’arte, l’opera comunemente intesa, il pezzo unico, il manufatto artistico che si fa feticcio da mercificare non è contemplata. Sono piuttosto documenti, registrazioni, immagini, rimasugli delle loro performance, effimere come devono essere le performance, ceneri rimaste dall’incendio appiccato, frammenti raccolti e conservati come quelli del violino andato in frantumi durante una delle tante esibizioni.  Perché un violino lo si suona con l’archetto ma anche, in alternativa, sbattendolo con foga su un tavolo.
  
Charlotte+Moorman+21namjune_moorman2.jpg

Per dirla alla Henry Miller: “disordine è il nome che diamo ad un ordine che non riusciamo capire”. Ciò detto e a ciò preparati, non di meno si rimane titubanti dopo aver varcato l’ingresso della grande sala della Galleria Civica modenese: foto, molte foto, sulle due pareti lunghe, due video su quelle più corte. Dopo domanda: tutto qui? che sorge spontanea, se ne fa strada un’altra subito dopo: ma è una mostra su Nam June Paik o su Charlotte Moorman (a sinistra)? E’ vero che i due hanno collaborato e interagito spesso dando vita ad un sodalizio lavorativo fecondo (è lei che "suona” Paik come fosse un violoncello richiamando e ribaltando in chiave femminista l’opera Le violon d'Ingres di Man Ray) ma qui la presenza della cosiddetta violoncellista in topless, morta prematuramente nel 1991 dopo una lunga battaglia contro la malattia (tragica e beffarda nemesi), è addirittura prevalente rispetto al titolare unico il cui nome campeggia a lettere cubitali nel titolo della rassegna!
 
E’ anche vero che l’ingresso è gratuito per cui non si possono avanzare grandi pretese (anzi, quasi ci si vergogna un po’) ma nemmeno ci si può per questo abbandonare a grandi consolazioni. Fortunatamente, non sappiamo se per scelta o per caso, Nam June Paik in Italia procede in crescendo e se, al secondo piano della Galleria, dove sono esposti alcuni dei suoi laser paintings, installazioni e video tra cui quello per la Biennale di Venezia del 1993 (edizione in cui vinse il Leone d’Oro), si comincia ad avere un assaggio della creatività vulcanica dell’artista e musicista coreano - l’anima più pop di Fluxus, iniziatore della video arte (Cafè Gogo, realizzato con la prima telecamera lanciata sul mercato dalla Sony con cui filmò il traffico newyorkese in occasione della visita di Paolo VI, è considerato il primo video d’arte della storia), precursore nell’utilizzo dei nuovi media, dell’estetica elettronica, digitale e del linguaggio televisivo - la mostra prende definitivamente quota nella seconda sede espositiva dove alla Palazzina dei Giardini sfilano in gran parata i suoi celeberrimi robot assemblati con vecchi televisori, monitor, radio e transistor: androidi ludici, ironici, polemici, sarcastici, a osservarli bene malinconici.
  
Un compendio di avvenirismo vintage, automatismi immobili, surplus di informazione muta. E in mezzo alla schizofrenia dei segnali audio-video senza fine, una candela accesa, un orologio a pendolo, ci riportano al presente, al qui ed ora, inesorabile. Siamo a Modena, quindi tra tutti i robottini, da citare quello ispirato a Luciano Pavarotti. E’ la lirica del resto, il “bel canto” la ragione principale che lega Paik all’Italia come afferma l’artista stesso, fin da quando, in giovane età, comincia a studiare musica: “la cosa che più mi intriga della cultura italiana è certamente la qualità e la complessità della grande opera italiana. L’opera è quello che ricerco nell’arte elettronica, in un’opera c’è tutto: la musica, il movimento, lo spazio. Così se un’operazione di arte elettronica riesce con successo, ritengo che debba essere considerata un’ Opera elettronica”.


Tags: George Maciunas, Mirko Nottoli, Modena, Nam June Paik, recensione, Women in Fluxus,
20 Marzo 2013

Oggetto recensito:

Nam June Paik in Italia, Galleria civica, Palazzo santa Margherita, Modena

Fino al: 2 giugno
 
Ingresso: gratuito
 
Orari:
da mercoledì a venerdì, dalle 10.30 alle 13 e dalle 16 alle 19.30; sabato, domenica e festivi dalle 10.30 alle 19.30; lunedì e martedì chiuso
 
Info: www.galleriacivicadimodena.it

 

giudizio:



3.06
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