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MUSICA FOLK

Serenata all'America

Il grande chitarrista jazz Bill Frisell firma con Sign of life il suo atto d'amore verso la tradizione musicale degli Stati Uniti: sonorità ispirate alle cultura country come alla colta contemporanea. Solo le sei corde, accompagnate da un trio d'archi e quasi senza effetti elettronici


di Marco Buttafuoco


L’America non è mai stata innocente, ha scritto James Ellroy: "Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio d’andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto… La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito”. Forse solo la musica può ridarci il senso dell’ antico mito del sogno americano. Lo pensa sicuramente il chitarrista Bill Frisell che da tempo medita sul grande continente, lo sogna, lo canta.
 
L’ultimo episodio di questa ricerca, Sign of life, è fatto di diciassette piccoli quadri musicali i cui colori sono forniti dalle sei corde del leader (con effetti elettronici ridotti praticamente a zero, a differenza di quel che accadeva in tante altre incisioni) dal violino di Jenny Scheinman, dalla viola di Eyvind Kang e dal violoncello Hank Roberts. Colori evocativi di grandi spazi e vaste solitudini, di orizzonti indefiniti.
 
Frisell ha passato un mese in isolamento, nell’autunno del 2010, in una sua casa nei boschi del Vermont per elaborare la scrittura di questo progetto. La musica che è uscita da quella meditazione è tributaria dei tanti generi musicali che hanno segnato la storia dei bianchi americani: il country ed il blue grass in particolare. Brani come il sognante It’s a long Story, o il bucolico Friend of mine, hanno proprio il sapore delle antiche ballate western.
 
Ma la ricetta musicale proposta dal sessantenne artista di Baltimora è ben più ricca di un semplice richiamo alla tradizione folk. Molto avvertibile il debito che Frisell paga al minimalismo americano, come dimostrano brani come Wonderland o Sixty Four. Evidente è anche l’influenza di tanta musica colta contemporanea. Il primo autore che può venire in mente è proprio quell’Aaron Copland che al Nuovo Continente ed ai suoi miti dedicò pagine e pagine di pentagramma.
 
Il rischio di cadere nella ripetitività e nel bozzettismo poteva essere alto. Frisell riesce invece a dare un senso poetico vero ed autentico alla sua musica, a creare atmosfere malinconiche e oniriche (quasi tutti i brani sono in tempo lento). Gli impasti sonori del quartetto sono sempre cesellati con una delicatezza che non scade mai nel manierismo. Creano anzi una sottile, ipnotica tensione che in più di un’occasione riesce ad incantare l’ ascoltatore.



Tags: america, Bill Frisell, country, folk, James Ellroy, Marco Buttafuoco, recensione, Savoy jazz, Sign of Life, sogno americano,
09 Giugno 2011

Oggetto recensito:

Bill Frisell, Sign of life, Savoy Jazz 2011

giudizio:



8.01
Media: 8 (12 voti)

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