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TEATRO

Dalla Russia senza amore

Il vecchio regista Lev Dodin porta in scena Vita e destino, grande romanzo novecentesco di Vasilij Grossmann. Ma il suo allestimento crolla sotto il peso della Storia del fisico teorico in fuga dall'antisemitismo nazista. 


di Nicola Arrigoni

 


Ci sono registi che attirano l’attenzione più per la mitologia che li circonda che per quanto hanno ormai da dire, portatori di un fare teatro che oggi nel suo proporsi appare – quando va bene – retorico e fuori tempo. E' il caso del Lev Dodin di Vita e destino di Vasilij Grossmann. Il regista del Maly Drama Teatr cade sotto il peso del romanzo/mondo dell’autore russo, una sorta di Guerra e Pace del XX secolo, con scenario terribile e affascinante della battaglia di Stalingrado in cui gli orrori delle dittature staliniane e nazifascista s’intrecciano con le storie di quotidiana sopravvivenza di donne, uomini, madri e figlie, padri e figli.
 
Simbolo e centro di Vita e destino è il fisico teorico figlio di madre ebrea il cui talento è riconosciuto a livello internazionale, che al culmine delle sue ricerche, vede abbassarsi su di sé il flagello dell’antisemitismo, insieme al rischio di essere eliminato. Sturm è un russo ebreo e porta con sé e in sé il peso della persecuzione che Grossman conosce quando la madre fu deportata nei lager nazisti.
 
Il grande affresco di Vita e destino si traduce sulla scena in un racconto banale, retorico e in fondo anche un po' qualunquista e conformista. L’idea scenica è una rete da pallavolo che diagonalmente divide in due la scena. Quella rete è rete da gioco nei momenti spensierati di quei personaggi senza nome e senza identità - la drammaturgia di Dodin e la scarsa incisività della recitazione degli attori li rende tali – ma diventa barriera nel contesto duro della guerra, reticolato dei lager o dei gulag quando si affronta il tema dello sterminio.
 
L’invenzione registica è tutta lì, per un racconto che si fatica a seguire, un giustapporre storie e sequenze che non portano da nessuna parte se non descrivere con banalità un dolore, un disorientamento dell’esistenza che nella sua ovvietà risulta ridondante oltre che difficile da condividere. Il lavoro drammaturgico sul romanzo non rende giustizia all’opera di partenza: la semplifica e ne fa una sorta di collage senza né capo, né coda in cui al dire si preferisce il predicare, in cui la figura della madre che scrive lettere dal lager è un leit motiv che arriva tanto prevedibile quanto stucchevole nella sua morale di vittima sacrificale.
 
Qualche immagine ad effetto, una recitazione poco incisiva, il gioco ripetuto di una dualità che richiama le parti del palcoscenico sono gli estremi di uno spettacolo da dimenticare, che sembra denunciare la stanchezza creativa del regista russo.



Tags: Lev Dodin, Maly Drama Teatr, Nicola Arrigoni, recensione, Vasilij Grossmann, Vita e destino,
27 Dicembre 2011

Oggetto recensito:

Vita e destino, regia di Lev Dodin

Visto al: Teatro Valli, Reggio Emilia, 6 novembre 2011

giudizio:



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