• Seguici su:
TEATRO - LA DOPPIA RECENSIONE

La doppia prova dei Promessi Sposi

Il capolavoro di Manzoni riscritto da Testori e portato in scena da Lombardi e Tiezzi, è recensito in parallelo da due nostri critici. Una matrioska da non perdere


di Sergio Buttiglieri e Igor Vazzaz

 


Una compagnia teatrale che non sa recitare, alle prese con le prove di uno spettacolo tratto dal romanzo che da adolescenti abbiamo odiato perché costretti a leggerlo a scuola. Ma che tutti ci portiamo dentro con affetto appena abbandonati gli studi, quasi fosse un pezzo della nostra identità nazionale, al pari della pizza o della torre di Pisa. 
 
Testori con I Promessi Sposi alla prova gioca su un testo che gli attori scalcagnati, un po’ come noi spettatori, non sanno come far brillare di inedita luce. E attraverso il capocomico-regista-attore, un magnifico Sandro Lombardi, prova a farci percepire la grandezza del romanzo, a cominciare dal famoso incipit “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno” che, attraverso la giusta ispirata dizione, è in grado di far scomparire le poltrone in platea e far apparire il lago davanti ai nostri increduli occhi. 
  
Questa capacità visionaria che il teatro come la letteratura possiede è una delle chiavi di lettura che Federico Tiezzi utilizza per tutta la rappresentazione, tenendoci piacevolmente incollati alle poltrone per seguire sviluppi che già conosciamo, ma che raccontati da Testori ci appaiono nuovi e più vicini: ad esempio, ecco i due bravi, con i chiodi di pelle da Febbre del sabato sera, che incontrano Don Abbondio; Testori li paragona a due marchettari ai bastioni di porta Venezia. Don Rodrigo è l’archetipo dell’uomo viscido ed abietto; Lucia, la scioltissima Debora Zuin, a parer suo, è "un fiore da prendere , schiacciare e stritolare". 
  
Don Abbondio/Sandro Lombardi, sempre pronto ad accettare gli impedimente, e sempre dietro a ronfare, "per tentare il sonno con la stessa musica, per adescarlo", si giustifica subito con l’impertinente perpetua in jeans, la simpaticissima Caterina Simonelli, che si preoccupa del suo ruolo minore: “Non vorrei che i critici mi mettessero nella zona di coda, quella degli altri”. Mentre Renzo, il bravo Francesco Colella, ingenuo e prestante come un personaggio neorealista di Rocco e i suoi fratelli, non vede l’ora di impalmare Lucia. La quale intanto, quasi fosse una concorrente di qualche reality, pensa che forse, proprio grazie a questi impedimente, lei e Renzo diventeranno famosi. 
 
Testori, attraverso Don Abbondio, ci ricorda che ”in fondo il teatro è farsi metafora della vita” E questi suoi personaggi, interpretati da una compagnia occasionale - come è occasionale il nostro stare al mondo, dentro i mille casini in cui ci imbattiamo, peggio che Don Abbondio - mettono in scena tutta la volgarità del nostro tempo. A cominciare da questo Don Rodrigo, interpretato splendidamente da Massimo Verdastro, sempre in posa, in completo grigio stinto da portaborsa ministeriale, con il colletto della camicia slacciata, la cravatta e il capello troppo lungo alla Danilo Coppola, mitico indimenticato furbetto del quartierino dei nostri tempi. E con il rutto facile da troppo “Moëtsciandòn”, lui che con un rutto sa cancellare le ragioni degli altri, e che rivendica la proprietà di Lucia “perché questa paesana, questa Mondella per dirla alla Testori, è mia, e sotto la mia protezione nessuno la toccherà più”. 
 
promessi4.jpg
 
Per non parlare della irresistibile, spudorata monaca Gertrude interpretata da Iaia Forte, che a un certo punto emerge dalla polèra - tutta impiastricciata di piume di merde e di becchime, pur essendo figlia del melodramma di Verdi, Toscanini e la Callas - e si lamenta di non avere la parte della protagonista, benchè abbia assassinato la conversa spia arrivata da Meda, Caterina, quella che non voleva partecipare ai “bunga bunga” ante litteram, con l’assenso di Fra' Cristoforo, quello che ora fa il santarellone: pura Brianza impura. 
 
Ma questo Promessi Sposi, pur spassosissimo, con contaminazioni contemporanee (dal gatto Shrek alle proteste operaie in tuta blu, dal Sesso e potere senza aspettare Freud a Padre Cristoforo che ricorda la sua vita di bagordi, il sapore del torrone Sperlari sotto i denti) alla fine si nutre di violenze senza limiti: ”Niente è vietato all’uomo di ciò che l’uomo definisce disumano. Anche una fogliolina che trema sopra un ramo sembra troppo piena di vita e bisogna strapparla, lei e il ramo”. E il tormento testoriano, pur mascherato dal registro comico, traspare benissimo quando fa dire all’Innominato - ancor più viscido, se fosse possibile, di Don Rodrigo: “i servi e le vittime non sanno far altro che tirare in ballo Dio”.
 
Questa compagnia di vermi e di pezzenti osa chiedere a Dio di perdonare tante cose per un opera di misericordia. Mentre Renzo vaga per la cmpagna bergamasca braccato dalla polizia, arrivano i lanzichenecchi a disseminare stupri, violenze e peste. Peste che contamina la città di Milano, ricollegandosi idealmente a tante opere di Testori in cui lui ce la descrive come sconfitta, infetta, corrotta e derelitta; città crisma, sigillo e casta ma anche porca, dove riposare la nostra stanca testa.
 
Ma dopo che Renzo perdonerà, malvolentieri, Don Rodrigo, e ritroverà Lucia tra gli impestati, la strampalata commedia dell’arte testoriana ci lascerà con la speranza, mentre dietro i monti il cielo va facendosi rosa e una ad una appaiono le solitarie cascine lombarde. Perché la speranza e la conversione sono in fondo, come diceva Moravia a proposito del Manzoni, il capolavoro della sua vita: “la possibilità per un uomo che crede nella ragione di credere anche nella fede”. 
 
C’è in Testori la grande capacità di lordare di fanghiglia del Lambro la materia letteraria, convinto che i testi rotoleranno meglio fra le rive della nostra memoria
, fino a fermarsi contro una grata. Esattamente come succede alla testa decapitata della monaca di Meda - "anche se nel romanzo non c’è", ci ricorda Il Maestro -  "ma c’è nella storia" gli replica Egidio. E non si tratta di abuso gratuito, in quanto "tutto in me è stato abusivo, fin da prima che nascessi!" chiosa Testori nella voce Gertrude. Uno spettacolo denso, che rinnova lo stupore verso il teatro materico di uno dei più grandi, naturali, torrenziali e fecondi narratori del nostro dopoguerra. 
(Sergio Buttiglieri)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Ha il fascino da scatola magica pirandelliana, il rigore drammaturgico di un classico qual è, ormai, Testori, e una lingua, parlata, bisbigliata, tornita, tutta da (ri)scoprire, di una modernità sorprendente. Ci riferiamo a I Promessi Sposi alla prova, l’ultimo spettacolo diretto da Federico Tiezzi, che s'avvale, come di consueto, del grande interprete e amico, Sandro Lombardi. I due ex “criminali” riannodano numerosi fili della comune poetica che, negli anni, ha visto proprio in Testori un autore frequentato con passionale assiduità e che, in quest'occasione, offre il destro per un doppio confronto con due titani della nostra tradizione quali Pirandello e Manzoni.
 
Il sipario si apre e appare subito un'ulteriore scena teatrale, più sgarrupata, modesta del Metastasio di Prato che ci ospita. In una costruzione dai contorni essenziali, geometrici, dalle tetre tonalità grigioblu, si staglia, in posizione centrale e rialzata, un sipario rosso, malconcio, con una scritta circense d’un triste giallo scolorito. Ai lati, riflettori a vista. Oltre il drappo, una tavola grande e, sulla parete, due segnalazioni d’ordinaria funzionalità: “Vietato fumare”, prescrizione puntualmente disattesa dai personaggi che vedremo in scena, e “Uscita d’emergenza”.
 
promessi3.jpg
 
Mettere “alla prova” il più importante romanzo del nostro Ottocento è impresa quanto mai complessa, ricca di declinazioni e sottigliezze: significa sperimentare il testo manzoniano come traduzione drammaturgica, ma anche, al contempo, sondarne la forza rappresentativa nella sua (doppia) attuazione scenica (quella “reale” dello spettacolo offerta a noi pubblico, e quella delle prove contenute nel racconto teatrale) e, infine, nelle obbligate letture implicate da simili operazioni.
 
La prova è, di fatto, quella inscenata dagli attori/personaggi, in un gioco di matrioske finzionali che rimanda direttamente ai Sei personaggi pirandelliani. Sandro Lombardi è il Maestro (non regista, anche in questo particolare Testori s’accorda col Nobel girgentino) e si trova a dirigere una scalcagnata compagnia di giro nella messinscena dei Promessi sposi: la situazione rappresenta l’ideale presupposto per un’approfondita messa a nudo del lavoro e del gioco teatrale, praticaccia fatta di prove, attori svogliati, primedonne nervose, elementi che il capocomico deve riuscire ad armonizzare. Tutto, senza lesinar suggestioni, considerazioni e spunti a proposito degli snodi e dei temi toccati dal romanzo e da questa versione drammatica.
 
È un gioco di specchi vertiginoso quello condotto dal paziente-direttore, composto di riflessioni e rifrazioni che schiudono feritoie, rivoli di senso, innervando di nuova linfa la partitura originale: il Seicento lombardo deflagra nel Novecento, perché i dialoghi tra gli attori diventano confronti inediti, aporie romanzesche, in un continuo slittamento di piani narrativi. È una costante mise en abîme di vicende e caratteri, a saggiarne la tenuta, la praticabilità in un’estenuante dialettica tra fuori e dentro, tra finzione di primo e secondo grado, a ricordare certi bizantinismi delle narrazioni di Borges. 
 
promessi2.jpg
 
Ma siamo in Italia, in Lombardia, terra amata e odiata da Testori, genio difficile, pieno di fertili contraddizioni: e, per paradosso, dopo le riscritture classiche (Ambleto, Macbetto. Edipus) in cui prevaleva un linguaggio materico, dialettale e sporco, in questi Promessi Sposi alla prova è proprio la lingua manzoniana a trionfare per modernità. Non i personaggi, a fronte d’una buona prova specie dei giovani attori (Francesco Colella, Debora Zuin, la brava Caterina Simonelli) affiancati da interpreti più navigati (l’attrice che fa Gertrude di Iaia Forte, che pure denota qualche pausa di troppo, Massimo Verdastro, nei panni del buffo interprete di Don Rodrigo, Marion D’Amburgo e Alessandro Schiavo). È il dettato manzoniano, troppo spesso relegato a repertorio scolastico malsopportato e inerte, a segnalare la propria forza, un’indomita vitalità, sbucando nella congerie di lingue, registri e piani rappresentativi. 
 
Si arriva a ridere, in certi sintagmi sospesi tra amara parodia e improbabile pastiche, quasi che questo testo, piuttosto recente (datato 1984), anticipi nei fatti ben altre riscritture del romanzo: se non fosse che Testori sceglie lucidamente d’esser antimoderno, amante ostinato della parola e di un teatro il cui destino, egli ne era forse conscio, è quello di soccombere sotto gli spietati colpi dei mass-media contemporanei. Proporre oggi questo dramma è una sfida ardua, se non tentativo disperato: alla prova di speranza, proposta con utopia dall’autore lombardo, s’affianca, da parte di Lombardi e Tiezzi, una forma, encomiabile e coraggiosa, di resistenza.
(Igor Vazzaz)
   
   

 
 
 
 
 



Tags: alessandro manzoni, debora zuin, don abbondio, don rodrigo, federico tiezzi, fra cristoforo, giovanni testori, i promessi sposi, iaia forte, Igor Vazzaz, l'innominato, monaca di monza, perpetua, renzo e lucia, Sandro Lombardi, Sergio Buttiglieri,
07 Dicembre 2010

Oggetto recensito:

I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA, DI GIOVANNI TESTORI, REGIA DI FEDERICO TIEZZI, DRAMMATURGIA DI SANDRO LOMBARDI E FEDERICO TIEZZI

Prossimamente in scena: Torino, Carignano, 7-19/12; Napoli, Mercadante, 12-23/1/11; Cortona (Ar), 25/1/11; Ravenna, Alighieri, 27-30/1/11; Genova, Corte, 2-6/2/11; Bologna, Arena del Sole, 10-13/2/11; Modena, Storchi, 16-20/2/11; Roma, India, 22/2-6/3/11; Piombino (Li), Metropolitan, 7/3/11; 09/03/2011 Grosseto (Gr), Teatro degli Industri; 10/03/2011 Barga (Lu); 11-13/03/2011, Massa (Ms), Teatro Guglielmi 
 
Produzione: Metastasio Teatro Stabile della Toscana, Teatro Stabile di Torino, Compagnia Sandro Lombardi 
 
Il resto della locandina: Pier Paolo Bisleri, scene; Giovanna Buzzi, costumi; Gianni Pollini, luci; Giovanni Scandella, assistente regista; Francesca della Monica, maestro di canto 
 
Citazione (quasi) iniziale: "So bene che vi siete venduti tutti a quelle fandonie televisive che hanno finito per togliervi ogni senso di che sia il mestiere dell’essere, qui, attore" (il Maestro) 
 
Citazione finale: "A voi, superata questa prova, cosa può dirvi, congedandosi, il vostro maestro? Che, se nella vita o qui, sulla scena, incontrerete, com’è giusto, difficoltà, dolori, ansie e problemi, battete alla sua porta. A quella di lei. La speranza" (il Maestro) 
 
A proposito del recente "fango" di Saviano: "che io, non tu, e men che meno lei, nella nostra storia, io sono il personaggio veramente nuovo, illuminato, anticonformista, rivoluzionario. Quello che farà precipitare a terra i tabù; li scioglierà, come fa il sole con la neve, in marciume, broda, fango, fanghiglia, sotto la sua, cioè mia, scarpa”. Parola di Don Rodrigo

giudizio:



7.812
Media: 7.8 (5 voti)

Commenti

Invia nuovo commento

Il contenuto di questo campo è privato e non verrà mostrato pubblicamente.
 
CAPTCHA
Questa domanda serve a verificare che il form non venga inviato da procedure automatizzate
Image CAPTCHA
Enter the characters (without spaces) shown in the image.