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TEATRO

La profezia di Pasolini

Solo sul palco, Fabrizio Gifuni veste i panni di un padre e un figlio, a rappresentare il drammatico passaggio di generazione di cui parlavano gli Scritti Corsari e le Lettere luterane. Da quei testi, che quarant'anni fa descrivevano la realtà attuale, parte il suo monologo 'Na specie de cadavere lunghissimo, diretto da Giuseppe Bertolucci


di Anna Colafiglio

 


Si entra in teatro, si sceglie un tavolino e ci si accomoda sul palco. Come se si fosse al bar, o al cabaret, per scegliere un termine di paragone teatralmente calzante. La mediazione del palcoscenico è già annullata, e tanto basta per essere catapultati d’un tratto in quel flusso di parole che sanno tanto di profezia, di una disillusione arrivata troppo presto rispetto alla degenerazione successiva, troppo tardi per credere di poter prevenire la caduta.
 
Fabrizio Gifuni è protagonista assoluto di un monologo che attinge a piene mani dall’universo di Pier Paolo Pasolini, da quegli Scritti Corsari e quelle Lettere Luterane che tanto avevano fatto discutere al tempo della loro pubblicazione. Testimonianze concrete di un Pasolini disincantato, che constatava il progressivo degrado del mondo e dell’umanità con una veemenza senza pari, una rabbia generata dal non ascolto e dall’impotenza dell’azione. L’avvento della società dei consumi e del Nuovo Fascismo, l’Italia che cambia, l’assetto socio-culturale che si fa omologato e piatto, il degrado morale della Chiesa; la cultura popolare che scompare per lasciare spazio alla nuova Italietta piccolo-borghese, che vede nella merce e nella mercificazione la sua unica ragion d’essere.
 
Muti ascoltatori, attoniti davanti a tanta connessione con l’attualità, gli spettatori di oggi sono, per ora, l’ultimo capitolo di quella “mutazione antropologica” che Pasolini aveva preconizzato quasi quarant’anni fa. Quando il peggio - ora possiamo dirlo - doveva ancora arrivare.
 
Gifuni-Pasolini contrappone i padri ai figli in una dicotomia che ha il sapore della Grecia antica e delle sue tragedie; cosciente di ricoprire entrambi i ruoli, inizia in veste di figlio, in una dolorosa invettiva che coinvolge l’assetto sociale e politico di un’Italia degli anni Settanta che potrebbe essere la nostra. Poi, spogliatosi dei suoi abiti, assume l’ottica del padre che constata il degrado della nuova generazione di figli, il modo in cui la nuova società sia una dittatura non dichiarata capace dgifuni.JPGi modificare radicalmente gli animi; i giovani sono la punta dell’iceberg di questo processo involutivo, i ragazzi di vita delle borgate romane divengono violenti criminali, incapaci di ragionare.
 
Lentamente, il “padre” in giacca e cravatta si sgretola sotto gli occhi del pubblico, lasciando spazio alla presenza sguaiata e chiassosa di Pino Pelosi, il metaforico figlio che si fa omicida liberandosi del genitore. Gifuni interpreta magistralmente (in un dialetto romanesco rivisitato e, a tratti, non pienamente comprensibile) Il Pecora di Giorgio Somalvico, un poemetto di possenti endecasillabi che immagina il folle delirio dell’assassino mentre guida verso Roma a bordo dell’auto rubata alla sua vittima.
 
È la descrizione di un universo deformato e insano, a cui Gifuni dà vita con una capacità attoriale inusitata, una mimica sorprendente, un impatto fortissimo. L’attore diviene cassa di risonanza di un disagio più che mai attuale, di una civiltà martoriata dall’omologazione e dall’ignoranza. E se parlare di moralità ci suona un po’ vetusto, siamo anche noi sulla “giusta” strada: complici incoscienti di una disfatta etica e culturale, oltre che di un delitto dal forte retrogusto politico.
 
Voltandoci per un attimo, forse, potremo vedere la nostra immagine ulteriormente distorta, riflessa in quello straniante specchio che Pasolini ha cercato di mostrarci, invano, già quarant’anni fa.



Tags: Anna Colafiglio, Fabrizio Gifuni, Giorgio Solmavico, Giuseppe Bertolucci, Il Pecora, lettere luterane, Na specie di cadavere lunghissimo, Pierpaolo Pasolini, Pino Pelosi, ragazzi di vita, scritti corsari,
24 Gennaio 2011

Oggetto recensito:

‘Na specie de cadavere lunghissimo, da un’idea di Fabrizio Gifuni, regia di Giuseppe Bertolucci

Tournée: Parma, Teatro al Parco, 4 e 5 febbraio. Nello stesso teatro, dal 28 al 30 gennaio, andrà in scena L’ingegner Gadda va alla guerra, secondo capitolo del dittico sull’Italia (sempre con Fabrizio Gifuni e Giuseppe Bertolucci alla regia).
 
Produzione: Teatro delle Briciole, Solares Fondazione delle Arti.
 
Materiali per la drammaturgia: da Pier Paolo Pasolini: Scritti Corsari, Lettere Luterane, Siamo tutti in pericolo (intervista di Furio Colombo a Pasolini, 1/11/1975), La nuova forma della meglio gioventù, abbozzo di sceneggiatura per un film su San Paolo; da Giorgio Somalvico: Il Pecora. Poemetto in due deliri.
 
Fabrizio Gifuni:
diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, lavora in teatro e nel cinema; nel 2005 è insignito del Premio Hystrio all’interpretazione per ‘Na specie de cadavere lunghissimo, spettacolo con cui si aggiudica anche il Golden Graal. Nel 2010 vince il Premio Ubu come miglior attore per L’ingegner Gadda va alla guerra, premiato, quest’ultimo, anche come Spettacolo dell’anno.
 
Giuseppe Bertolucci: "fratello d'arte" di Bernardo e figlio del poeta Attilio, che di Pasolini fu amico e ospite, è regista e sceneggiatore per il teatro e per il cinema. Alla memoria dell'intellettuale ucciso aveva già dedicato un documentario nel 2006, intitolato Pasolini Prossimo Nostro    

giudizio:



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