Il pezzo più pregiato della sua personale, la Montagna di Sale, soggiorna ora nella Piazzetta Reale di Milano, alla portata di tutti. E' sempre andata così con l'autore campano, erede di quei teorici che già negli anni settanta volevano le installazioni fuori dalle gallerie e a contatto con il pubblico
di Anna Colafiglio
Lo spettacolo comincia già fuori, nella Piazzetta Reale dinanzi al Palazzo che ospita l’esposizione: l’imponente Montagna di sale, dieci metri d’altezza e un gran corredo di trenta sagome equestri, dialoga meravigliosamente con lo spazio cittadino che la circonda.
“La Montagna ha bisogno di un luogo pieno di gente, è un’opera popolare, non ha paura del confronto”, ha dichiarato l’artista, memore della storica installazione del ’95, in Piazza del Plebiscito a Napoli, durante la cui permanenza “successe di tutto: dagli scugnizzi che si arrampicarono a chi recuperò il sale per il valore scaramantico che ha per la Smorfia, addirittura si giocarono i numeri al lotto, per altro vincendo, insomma fu una specie di appropriazione dell’opera da parte della comunità”.
Un’opera che esce dal chiuso delle gallerie per stabilire un efficacissimo rapporto diretto con la città e i suoi abitanti: perfetta declinazione di quel concetto di arte pubblica teorizzato negli anni Settanta e che Paladino continua a portare avanti con estrema efficacia (nella stessa ottica si colloca Cacciatori di stelle, un aeroplano in scala 1:1 interamente dipinto dall’artista, situato nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele).
E se il cortile interno di Palazzo Reale ospita i grandi Scudi di terracotta, l’interno della piccola mostra ci propone circa cinquanta opere e installazioni dell’artista campano, uno degli esponenti di punta della Transavanguardia italiana degli anni Ottanta. Importanti sculture e grandi pannelli tracciano il percorso evolutivo dell’arte di Paladino, la cui svolta verso la Transavanguardia è segnata da Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro (1977, a sinistra), opera dagli echi vagamente matissiani che sintetizza un ritorno al figurativismo, in risposta all’arte concettuale che si era andata affermando negli anni precedenti.
Le teorizzazioni della transavanguardia incontrano, quindi, il retaggio dell’Arte povera all’interno dei grandi pannelli polimaterici, nei quali elementi lignei a tre dimensioni emergono dalle tele piatte e dalle campiture che le caratterizzano (Ara, 1982). Leitmotiv di figure umane scomposte tornano a più riprese; rami che sono pròtesi e prigioni, simboli archetipici e vagamente magici (vedi Il grande Cabalista, 1981, a destra). Molto bella e di grande impatto è l’installazione Dormienti, cui è dedicata un’intera stanza, immersa nella partitura “eco-acustica” elaborata dal compositore David Monacchi.
Il percorso procede secondo un criterio tematico, più che cronologico. L'allestimento però, ci è parso nel complesso un po’ frettoloso: le belle opere in mostra avrebbero forse richiesto una maggiore cura del contorno espositivo.
Tags: Anna Colafiglio, arte pubblica, Cacciatori di stelle, mi ritiro a dipingere un quadro, Mimmo Paladino, montagna di sale, Palazzo Reale, piazzetta reale, recensione, Silenzioso, transavanguardia,
Paladino Palazzo Reale, Palazzo Reale, Piazzetta Reale, Galleria Vittorio Emanuele, Milano
Fino al: 10 luglio.
Curatore: Flavio Arensi
Allestimento: Giovanni Tortelli, Roberto Frassoni
Ingresso: 9 euro, ridotto 7,50.
Orari: lunedì dalle 14.30 alle 19.30; da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30, tranne giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30.
Info: www.paladinopalazzoreale.it
Il giudizio: le opere in mostra rasentano i tre soli, ma un "né infamia né lode" va all’aspetto tecnico, organizzativo e di allestimento in senso lato. Arrotondiamo per eccesso a due, regalando un po’ di sole alla Montagna di sale, che davvero merita di esser vista.
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