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ARTE CONTEMPORANEA

Riccardo Negri, disegno a mano libera

Viene allestita alla galleria L.I.B.R.A. di Catania Perigrafie, la mostra personale del giovane artista. Il suo è uno stile capace di sintetizzare cambiamenti e evoluzioni dell'arte grafica tra il XX e il XXI secolo, fino alla "liberazione" dagli obblighi raffigurativi


di Anita T. Giuga


riccardo negri-DOPO LA NOTTE-grafite su carta, 110x110 cm, 2011 - Copia.JPGA Catania è in esposizione la personale siciliana del giovanissimo Riccardo Negri (nato a Mantova nel 1985), curata da Duccio Trombadori. Negri ha voluto far collimare l’avventura artistica con la sua biografia, tant’è che il giorno prescelto per l'inaugurazione, il 7 maggio, è stato quello del suo stesso compleanno.
 
Diplomato all’Accademia di Belle arti di Bologna, il suo lavoro parte dal “segno” ed è proprio questo che lo contraddistingue; intanto come “prova” di un atto creativo diretto, che dalla mano si imprime sul supporto, in seguito come phantasmata della visione radicale dell’artista. D’altronde, il ruolo del disegno nell’arte è sempre stato quello di rispondere a un bisogno di mimetismo. Qui il metodo e l’oggetto artistico coincidono, poiché le forme sono definite dalla tecnica e dalla mano che le ha forgiate. In altre parole, lo stile è il significato ultimo dell’opera, il suo fine e la sua ragion d’essere. (a sinistra, Dopo la notte, 2011)
 
Lo spazio chiuso del foglio/tavola dalla sua area delimitata intuisce così un nuovo e ampio spazio; più generico e discontinuo. Ci si allontana e si migra, verso gli unici interstizi che spingono in avanti e all’interno delle pieghe riposte fuori dalla traccia segnica. Da una parte simulacri ubbidienti alla forma, dall’altra costellazioni inondate di grafite, o morfologie fasciformi e rigidamente monocrome. Spadroneggiano periferie del corpo e del volto senza corpo. Il “non finito” diviene qualcosa di insepolto, che amplifica densità e leggerezza. Ribellione e cedimento all’invito dello sguardo contro il volto dell’Altro.
 
Perché la rappresentazione si ripresenta di continuo. E così, senza sensi di colpa e “richieste normative”, ghermisce il simulacro e la sua ombra storica e storicizzata. L’artista del XX secolo si serve, infatti, del disegno in modo libero e spontaneo senza badare a schemi e consuetudini, al di fuori delle convenzioni, dell’abilità acquisita o dell’esercizio.
L’atto del “guardare”, esecuzione e tempo, diventa osservazione al netto dell’interpretazione.  Il di-segno si articola e così fonde moltitudine e singolarità: "È una ricerca di luce verso una dimensione di conoscenza del Vero", dice Duccio Trombadori.
 
E ancora Trombadori: "Tutto inizia dalla notte, e tutto in essa rifluisce. Quello scuro fondale, quel velo nero dove l’occhio si diffonde a dismisura tra spazi suturati senza confine, è il risultato di una campitura impeccabile che lascia percepire l’aperta prossimità di un aere levigato a carbone, universo indeterminato di astri luminosi e appena alleggerito da sensibilissime varianti di tono".

Mediante il visibile, siamo riccardo negri-INNO- cm.100x100 2010 carbone su tavola.pngintrodotti a quello che Antonella Anedda chiama morte come esperienza dello spazio più che del tempo. Allusione progressiva della forma "oltre il segno", in uno scambio simbolico tra apparenza percepita e verità evocata. Perigrafie titola il curatore, pensando alla parola greca “perigraphé”, ovvero circoscrizione. Accentuando l’aspetto percettivo, il disegno era considerato nel Settecento il mezzo più immediato per rendere in modo adeguato il reale: “Questo termine – scrive il teorico inglese Jonathan Richardson in An Essay of the Theory of Painting (1715) – significa, talora, esprimere i nostri pensieri sulla carta o su qualche altra cosa di questa natura, per mezzo di forme ottenute con penna, matita, carboncino o altri media similari. Ma più spesso è usato per dare la giusta forma agli oggetti visibili, come appaiono cioè all’occhio” (a destra, Inno, 2010)
 
La forza del disegno di Negri imperversa sul valore e sul limite del disegno di figura come convenzione, per comunicare più profonde (e invisibili) presenze ontologiche [“aliquid stat pro aliquo”], suggerisce ancora una volta la presentazione.
Balzac, dal canto suo, sosteneva che al mondo tutto è forma e che la vita è un continuo mutare e defluire di quest’ultima. Il segno, da solo, non può dire l’evento. Un’idea, questa, che ha attraversato tutta l’estetica novecentesca, le sue vibrazioni atmosferiche, le sue rotture anti normative, le écritures automatiques e i ritorni all’ordine; con gli abusi e i ripescaggi, gli omaggi inconsapevoli e le ripetizioni differenti.
 
Ciò che segna il radicale cambiamento avvenuto nell’arte allo scorcio del XX secolo, nel passaggio dalla traduzione “percettiva” della realtà e alla sua “interpretazione”, è proprio un criterio diverso di intendere il ruolo del disegno. Dal superamento della funzione imitativa al consolidamento della piena libertà espressiva, per quanto all’interno di impliciti canoni culturali e contestuali. Secondo lo storico dell’arte francese Henri Focillon l’estetica doveva poggiare su fondamenti oggettivi. L’idea di una funzione dell’arte di natura fondamentalmente morfologica, è conseguente alla convinzione che la forma non solo incarna e rende visibile il significato di un manufatto o di un organismo, ma ne esplicita il destino stesso (Elena Di Raddo).



Tags: Anita T. Giuga, Catania, disegno, Duccio Trombadori, Galleria Libra, mostra, Perigrafie, recensione, Riccardo Negri,
24 Maggio 2011

Oggetto recensito:

Riccardo Negri, Perigrafie, Galleria L.I.B.R.A., via Pola 11/c, CATANIA

Fino a: 31 maggio 2011
Curatore: Duccio Trombadori
Orari: tutti i giorni dalle 16,30 alle 20,30. Chiuso il lunedì.
Ingresso: libero

giudizio:



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