Finalmente da venerdì in sala Habemus Papam, l'ultima pellicola di Moretti. Il pontefice che come Bartleby di Melville "preferisce di no", diventa simbolo dell'inadeguatezza e del fallimento che colpisce anche la vita più fortunata
di Sandra Petrignani
Si chiama come l'autore di Moby Dick, ma pronunciato in francese, il protagonista di Habemus papam, atteso nuovo film di Nanni Moretti: Melville con l'accento sulla i (un meraviglioso Michel Piccoli). Forse per la nevrosi, compagna dell'uno e dell'altro, ma più probabilmente per il ritroso Bartleby, altra grande figura melvilliana, che "preferiva di no" come il papa di Moretti che non vuole saperne di fare il papa. Non ne vuole sapere il suo inconscio prima che la ragione, ma i prelati non credono nell'inconscio, credono nell'anima, e l'anima di un papa è in colloquio stretto con Dio, dunque prima o poi Dio parlerà a Melvílle e lo riporterà al suo dovere.
Così la schiera internazionale dei cardinali, prigionieri in Vaticano del bizzarro caso, si mette, dopo l'inutile conclave, in serena attesa sotto la guida dell'energico portavoce, eppure pieno di umana comprensione (un ottimo Jerzy Stuhr). Naturalmente grande è lo sconcerto dei fedeli che non vedono apparire al balcone il neoeletto pastore della cristianità cattolica, disorientati i giornalisti costretti a dire scemenze per riempire inevitabili dirette, perplesse le guardie svizzere.
Ma questi prelati di Moretti sono delle gran brave persone e le provano tutte perché l'istituzione non vacilli e la loro stessa anima/inconscio non venga messa a ferro e fuoco dall'insubordinazione di un singolo, sia pure Sua Santità, e perché possano continuare a governarla fra un sonnifero e un ansiolitico, una partita a scopone scientifico e una preghiera sentitissima. Si dispongono persino, con gentile incredulità, a imprigionare con loro un luminare della psicanalisi, "il più bravo di tutti" come ribadisce lui stesso, Nanni Moretti in persona che gigioneggia con simpatia e scricchiola anche lui da tutte le parti (la moglie, pure lei psicanalista, l'ha mollato perché non reggeva il suo continuo primeggiare: il cameo è affidato a una Margherita Buy perfettamente in parte).
Dunque queste le carte in tavola di un film delicato e profondamente morale, commedia sì, ma dal gusto amarissimo fra le molte risate che strappa, e tutta avvolta in un'ingannevole leggiadria. Un film a suo modo visionario e visivo dove molto contano i colori, le musiche (davvero notevoli, e discrete come esige la storia, di Franco Piersanti), le allusioni a un mondo di sfuggente civiltà.
Cardine, direi, è l'idea di porporati che somigliano a bonari fraticelli, che dietro i paludamenti cardinalizi, sgargianti vesti rosse e immancabili anelli d'oro, coltivano un carattere onestamente credulone, ingenuamente mite, senilmente superiore a ulteriori ambizioni, avventurosamente confortato da fede, se non indiscussa, comunque incrollabile. La vecchiezza inadeguata al compito, di Michel Piccoli, giocata fra sorrisi dolcissimi e infantili scatti d'ira, incarna la fragilità di qualsiasi vecchio stretto fra le richieste della vita e lo svanire delle forze e del pensiero, e tocca apici elegiaci molto commoventi.
E' efficace anche il contrasto fra il mondo teatrale del Vaticano, tutto un ondeggiare di vecchi prelati riccamente vestiti e resi instabili dall'età, e quello "borghese", grigio, di fuori, dove si portano i bambini a scuola, si va in autobus stanchi e disfatti, si litiga nel cellulare, si fa teatro molto meno d'effetto. Eppure è il teatro il sogno infranto del papa Melvílle. Ciononostante non riesce a fingersi l'uomo forte che non è, che forse non c'è, per affrontare "un'epoca di grandi cambiamenti come quella che stiamo vivendo". Non è l'unico nel film che non bara e non nasconde la propria inadeguatezza: lo fa anche un vaticanista intervistato a un certo punto in tv, lo fa il portavoce, lo fa persino, a modo suo, ovvero a modo morettiano, con le mani in tasca e un po' sbruffone, l'elegante psicanalista, che non riesce a portare a termine non solo l'analisi del papa, ma nemmeno il campionato di pallavolo fra cardinali organizzato un po' per noia un po' come terapia.
Un film sul fallimento, dunque, come esito inevitabile della vita anche più fortunata, in una cornice utopica di una società buona che non esiste, né in Vaticano né altrove, ma che probabilmente se ne sta rintanata dentro singole persone discrete, che come Bartleby lo scrivano, o come questo papa depresso, preferiscono di no. Ma, ahimé, Bartleby fece una brutta fine. Del papa di Moretti non si sa. Il film finisce prima, prima anche del, qui trattenuto, doloroso grido che chiude il racconto melvilliano: "Ah, Bartleby! Ah, umanità!".
Tags: fandango, habemus papam, margherita buy, michel piccoli, nanni moretti, Sandra Petrignani, vaticano,
Habemus papam, di Nanni Moretti, Ita/fra 2011, 104 m.
Commenti
Invia nuovo commento