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FILM

Non è un pianeta per vecchi

Conto alla rovescia: in un immaginario futuro prossimo gli uomini viaggeranno con un contatore biologico al braccio che arriva soltanto ai 25 anni. Da lì in poi avranno un anno soltanto per guadagnarsi (letteralmente) altro tempo da vivere. In Time è firmato da Andrew Niccol, lo stesso autore di The Truman Show: ma stavolta l'idea suggestiva viene sprecata


di Marinella Doriguzzi Bozzo


Si dice che il tempo è denaro, ma in questo caso è il denaro ad essere costituito dal tempo. Con una trovata tanto semplice quanto geniale, il film ci trasporta in una imprecisata contemporaneità fantascientifica, in cui tutti gli umani hanno il braccio sinistro tatuato con numeri fluorescenti, che scorrono inesorabili come i tassametri più esosi. Deposito bancario e nel contempo durata di vita, le cifre sono altresì una sorta di codice genetico che consente di invecchiare solo fino ai venticinque anni, rimanendo poi tali nelle sembianze, ma con un unico anno di durata extra disponibile. Anno che verrà trascorso dai più a controllare freneticamente il proprio deposito algebrico, che si incrementa di poco in cambio di un duro lavoro, e decresce sproporzionatamente se si compra una birra, fino al paventato azzeramento, ovvero la morte.
 
Naturalmente il mondo esiste per essere diseguale, e quindi ci sono i ricchissimi che vivono per l'eternità in un altrove pacchiano ed esclusivo, vampireggiando le vite degli altri, che viceversa si trascinano in miseri ghetti modernisti fra angosce, impellenze e transazioni disperate sia pure per una manciata di minuti. Ma, nel contempo, esiste anche al fine di disporre di eroi e di eroine pronti a sanare l’iniquo stato delle cose. Ancora meglio se lui è povero e lei viceversa ricca sfondata, perché figlia del banchiere del tempo.
 
in-time-amanda-seyfried-justin-timberlake2 (1).jpgPartita benissimo, con una possibile metafora dell'attuale crisi finanziaria nelle mani di esigui delinquenti che non pagano dazio, la pellicola immette altresì l'allegoria dell'eterna giovinezza, e sfrutta molte delle ossessioni e delle contraddizioni della contemporaneità che si passerà il tempo a sviluppare per conto proprio, tanto sono potenti le implicazioni e gli effetti. Intanto sullo schermo l'intuizione felice si imbanalisce in una lotta piena di citazioni fra guardie e ladri (o buoni e cattivi), mentre tutti si sopraffanno e si derubano vicendevolmente, seppur in base a rigorose distinzioni di classe. E non bastano i corpi giovani seminati qua e là per esaurimento dei timer, nè alcuni tocchi scenografici in odore di Blade runner. L'allettamento iniziale non dura, e ricorda quei temi in cui la maestra scriveva "buona l'idea,ma carente lo svolgimento". E non parliamo delle incongruenze solo perchè è un termine inusuale alle elementari.
 
Sceneggiatore di The Truman show (1998), sceneggiatore e regista di Gattaca (1997), Andrew Niccol è un talento diseguale (suo anche Lord of war, del 2005) ma con dei tormenti precisi: il paradosso che rovescia i punti di vista acquisiti, la divisione in sfruttatori e sfruttati, la denuncia sociale. Amalgamati variamente con esiti alterni,secondo una contaminazione di generi e culture che non sempre riesce a portare fino in fondo. In questo caso le suggestioni rimangono in superficie e le ambizioni sull'implicito dello sfondo, per poi interrompersi bruscamente inanellando sequenze di mera azione, con tanto di inseguimenti e di pistole che risultano curiosamente anacronistiche. Così che la corsa contro il tempo nelle sue diverse accezioni, sublime incubo del film, finisce per schiantarsi contro lo stereotipo di Robin Hood.
 
Innamorato della fantascienza degli anni cinquanta e di Philip K. Dick, il regista dirige una sorta di fanta-thriller-action movie che non riesce ad avere la pregnanza visiva de I guardiani del destino (cfr recensione) e nemmeno il senso del tempo di Source code (cfr recensione) pur esprimendo un'attenzione quasi assillante ai particolari; perché di tutto si tratta, tranne che di un'opera tirata via tanto per far cassa. Il protagonista Justin Timberlake (paladino pacatamente agitato con le sembianze anonime del vicino di casa), riesce comunque a reggere la parte in quasi tutti i suoi risvolti, grazie alla disinvoltura che gli è propria. Mentre il vero miracolo tocca alla sua bella partner Amanda Seyfried, capace di sfrecciare come Usain Bolt con dei plateaux tacco quindici, usando come unica forma espressiva degli occhioni sbarratamente azzurri.



Tags: Andrew Niccol, fantascienza, In Time, Justin Timberlake, Marinella Doriguzzi Bozzo, recensione, The Truman show,
23 Febbraio 2012

Oggetto recensito:

In Time di Andrew Niccol, USA 2011, 109 m

giudizio:



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