Duncan Jones, figlio di David Bowie, gira un thriller tra fantascienza e psicologia. A un capitano militare viene chiesto di entrare negli ultimi otto minuti di vita della vittima di un attentato ferroviario già avvenuto, per poter riconoscere il terrorista
di Marinella Doriguzzi Bozzo
Meno male che, in tempi di sfacciati nepotismi e di delfini che si trasformano in trote, il concetto di ereditarietà dinastica inadeguata non tocca Duncan Jones, figlio quarantenne di David Bowie. Che riesce a dirigere con dignità un film dissimilissimo da quello a suo tempo interpretato dal carismatico padre (L’uomo che cadde sulla terra, 1976) e tuttavia apparentabile almeno in termini di genere, trattandosi in entrambi i casi di una fantascienza di dolente e umanissimo valore.
Le prime scene si aprono ariose su una Chigago di fotogenia ammaliante, che sembra una Venezia di grattacieli, con un treno che corre, a segnare da subito una traiettoria. All’interno, un mucchio di pendolari anonimi, fra i quali si risveglia stordito l’ufficiale areonautico Colter Stevens, interpretato da Jake Gyllenhaal. E poco dopo si comprende che è lì per volontà governativa, incarnato in un altro, facendo parte del programma sperimentale Source code, volto a prevenire possibili atti di terrorismo.
L’obiettivo è quello di individuare l’attentatore che non molto tempo prima ha fatto saltare in aria quello stesso treno ed i suoi passeggeri, entrando nella mente di chi ha visto tutto, prima di morire. Il tempo a disposizione è poco, non più di otto minuti per volta, che costringono il protagonista - altro da sè a rifrequentare in più riprese la stessa scena, trascorrendo dalla capsula in cui è racchiuso al treno e viceversa.
E la prima parte del film è tutta orientata ai piccoli slittamenti progressivi di questa fatica di Sisifo, che ripetono ambienti, atti e persone alla ricerca di indizi che portino all’individuazione del colpevole. Un itinerario anche temporale ben espresso dalla traiettoria del treno, che continua a correre nonostante non ci sia più. L’atmosfera tra lo straniato e il quotidiano mette la sordina all’elemento fantascientifico, malgrado si accenni in modo confuso a matematiche quantistiche e curvature del tempo e dello spazio. Poi, a partire dalla seconda metà, il film si impenna con una sorpresa di agnizione e di ribellione, spostando l’attenzione sui risvolti umani contemplati dalla vita e dalla morte, che cercano di incrociare i loro universi paralleli, secondo una visione di pietosa speranza. Con un tentativo di modifica ex post del destino compiuto e una chiusura finale a più scomparti, un po’ sovraesposta e con qualche arabesco di troppo.
Non è importante esigere un costrutto di scientifica coerenza, trattandosi di un'opera di genere misto (inizialmente un po' thriller, in seguito dramma dell'anima in chiave sperimental futuristica). Bisogna invece abbandonarsi all'intrattenimento , che scorre teso proprio grazie alle ripetizioni, e che non pone solo il tema della caccia al colpevole, ma soprattutto quello - caro alla tradizione anglofona - della seconda possibilità, sovrapponendo i concetti dell'aldiqua e dell'altrove con umana, comprensiva partecipazione.
Un film di discreta sceneggiatura e migliore conduzione, che riesce ad essere d'azione proprio ritornando ossessivamente su se stesso e che, senza porre grandi e pensosi interrogativi, asseconda le esigenze del plot di un realismo pacato, riuscendo anche a trascolorare nel metafisico. Come molti film della stagione ormai quasi alle spalle, racconta le speranze e gli aneliti di coloro che restano nei confronti di coloro che non ci sono più, con un messaggio finale di speranza e di grande fiducia nelle possibilità dell’individuo. Riesce a smussare incongruenze e colpi ad effetto proprio grazie alla immedesimazione della regia, benissimo coadiuvata dalla fotografia e, soprattutto, da un montaggio assolutamente funzionale alla storia. Trovandoci in casa Bowie, poi, un'attenzione speciale è d'obbligo nei confronti della colonna sonora, con le belle musiche originali di Chris Bacon.
Una pellicola di buon intrattenimento, che - abbiamo fatto la prova - ognuno tenterà di raccontare ed interpretare a modo suo. E in questo caso non è tanto un segno di confusione, quanto di versatilità nel coinvolgimento emotivo.
Tags: Duncan jones, fantascienza, Inception, Jake Gyllenhaal, Marinella Doriguzzi Bozzo, recensione, The source code, treno,
Source Code, di Duncan Jones, USA Francia 2010, 93 m
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