Dopo un esilio quasi decennale David Bowie di recente si è rifatto vivo con The Next Day. E' l'ultima incarnazione in una galleria che l'ha visto cambiare pelle senza mai fermarsi. Di una tra le più riuscite cade proprio in questi giorni il quarantesimo anniversario
di Simone Pilotti
All'inizio si faceva chiamare Ziggy Stardust, inanellando un album dietro l'altro. Grazie alla stravaganza e la creatività mostrate sui palchi di tutto il mondo è presto diventato un'icona del glam rock. La voglia di rinnovarsi continuamente l'ha spinto a pubblicare lavori diversi, spesso anche non all'altezza della sua produzione. Poi ha vestito i panni del "celebre desaparecido" per l'ultimo decennio: ora, col suo ultimo album (The Next Day), si guarda allo specchio, con un pizzico di ironia e una punta di autocelebrazione. Il nostro eroe si chiama David Bowie, e in 46 anni di carriera ha scritto pagine fondamentali nella storia della musica; una di queste è Aladdin Sane, album pubblicato nell'aprile di quarant'anni fa, che rappresenta una delle pietre miliari della musica rock.
Nella sua storia l'artista londinese non si è mai accontentato di ripetersi, limitandosi a raccogliere consensi solamente attorno a pochi pezzi storici. Non ha mai nemmeno provato a resuscitare il se stesso di The Rise And The Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars (1972), per non rischiare di perdere quella spontaneità e quella imprevedibilità che, invece, sono sempre state tra i suoi punti di forza. Ogni volta che raggiungeva una nuova vetta, virava verso suoni differenti già a partire dall'uscita successiva. E' facile, in questo senso, pensare alla lontanza che corre tra i suoni di inizio carriera, gli album vicini alla new wave usciti negli anni '80 e le sperimentazioni del decennio successivo; non altrettanto misurare quale evoluzione si snoda anche solo tra due uscite discografiche successive, nei suoni e nelle riflessioni e nelle sottili critiche dei suoi testi.
Aladdin Sane rappresenta perfettamente un (primo) punto di svolta: dopo gli album d'esordio dalle sonorità folk-pop e l'esplosione glam-rock, ecco un disco ancora differente. Qui si trovano ottime sperimentazioni free-jazz negli assoli di Mike Garson, il blues nei riff delle chitarre e sprazzi cabarettistici, su un sound di base prettamente rock. Un rock che è quello classico, quello energico, quello frizzante, quello degli Stones. Il risultato finale è una musica molto più dura e grezza rispetto agli album precedenti che perde intimità e riflessività quanto guadagna in dinamismo. L'esperimento riesce perfettamente e Bowie firma un'altra pietra miliare della musica pop. Anche questa volta, subito dopo, si dirigerà verso i rinnovamenti soul e funk di Station to Station (1976).
Che Aladdin Sane non sia sullo stessa scia (almeno musicalmente) di The Rise And The Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars, lo si percepisce già dopo pochi secondi. In Watch That Man, canzone d'apertura, irrompono subito chitarra, basso e tastiere, capaci di sprigionare un'energia unica. Poi subito la gemma dell'album, la title-track: si apre con un'atmosfera malinconica e intima, e raggiunge il culmine con un magnifico assolo di pianoforte, accompagnato dal sax, in pieno stile free jazz. Successivamente Bowie sfodera due riff eccellenti di chitarra, in Panic In Detroit e Cracked Actor, che richiamano il blues di fine anni '60. Infine, si trovano due canzoni chiaramente ispirate ad altri gruppi: Let's Spend The Night Togheter è una cover dei Rolling Stones con qualche variante in chiave glam-rock mentre Jean Genie, costruita su una base molto simile a quelle usate dagli Stooges (non a caso si dice che Iggy Pop abbia affiancato Bowie nella composizione della canzone). Dunque, ogni pezzo si fa apprezzare per la capacità di fondere le molte componenti e i molti generi da cui il Duca Bianco era influenzato all'epoca.
Lungo la sua carriera, Bowie è sempre riuscendo a rinnovarsi costantemente, anche imbattendo in qualche fallimento, ma più spesso collezionando successi. Per questo, è difficile sintetizzarlo in uno solo dei suoi alter ego. Il musicista di Aladdin Sane è una delle sue incarnazioni migliori, equilibrato ma deciso, raffinato e sfrontato al tempo stesso. In una delle sue prime svolte stilistiche in quarant'anni di imprevidibilità, Bowie si mostra capace di avvicinarsi a un suono più d'impatto, senza deludere chi l'aveva seguito fin lì.
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David Bowie, Aladdin Sane, RCA 1973
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