Armando Punzo ha appena vinto il premio Ubu alla regia per il suo ultimo spettacolo, interpretato dagli attori detenuti della Compagnia della Fortezza di Volterra. Hamlice è un connubio di due grandi classici, da oggi non più così distanti
di Sergio Buttiglieri
Foto di Stefano Vaja
Quando si assiste a rappresentazioni come Hamlice, saggio sulla fine di una civiltà, ci si rende conto di quanto il teatro sia insostituibile per scuotere la nostra apatia nutrita ogni giorno di blob televisivi. E' dal 1988 che Armando Punzo lavora con i carcerati della prigione di massima sicurezza di Volterra, producendo ogni anno uno spettacolo, che debutta in estate all’interno del carcere, durante il Volterra Festival. Quest’anno ha superato se stesso realizzando un magistrale Hamlice, acronimo di Amleto e di Alice nel paese delle meraviglie. Lo spettacolo è dirompente per bellezza delle scene e per la carica emotiva che infonde in noi spettatori.
Punzo, a differenza di altre volte dove si limitava a curare la regia, è in scena nel ruolo di Amleto, vestito di nero con tacchi altissimi. Ci accoglie in teatro con una frase emblematica: “Ci vuole coraggio per entrare”. La scena è tutta ricoperta da scritte e c'è chi, vestito con un altissimo cappello a cilindro, scrive nell’aria ulteriori parole con una penna da calamaio, mentre grandi lettere dell’alfabeto in polistirolo ingombrano, ammonticchiate, i corridoi fra gli spettatori.
“Amleto, devi sapere che anche tuo padre perse un padre” - gli ricorda dal trono di polistirolo, con voce roca, alla La Russa, lo zio, che si è appena impalmato la madre. “Ora potrei fare cose tanto cattive che il mondo tremerebbe”- ci dice Amleto mentre una esilarante madre, in stretto dialetto napoletano, ci racconta la vicenda del figlio. La rivedremo, la madre, nel teatrino dentro il teatro stesso, riraccontata da Amleto, che non ci risparmia un impietoso ritratto delle nostre misere brevi esistenze: “Quando ce ne andremo, perché ce ne andremo, quando saremo vecchi, andremo tutti ad elemosinare la mutua, e per farlo parleremo della nostra vita passata per ottenere quel minimo che ci spetta”. E continua a ripetere, sempre con quegli stivaloni dai tacchi altissimi, con quel rossetto eccessivo, con quei capelli troppo lunghi, con quei guanti neri da entreneuse: “So nice, so nice, dove sarete voi? Dove sarete voi? Il fango della vita mi ha sporcato fino ad un certo punto. Scoprirò dov’è nascosta la verità fosse anche al centro della terra.”
E la scena è tutto un crollare di colonne in polistirolo, di uomini che cantano dolcissime melodie come fossero dei soprani, con un esorbitante surreale copricapo di nuvole in testa, sovrastato da una voliera; con incursioni nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie, e i personaggi che attraversano la scena inseguendo un bianconiglio che si trascina un sacco nero.
Amleto, malato di voglia di giustizia, a volte ritorna bambino, seduto a terra con le gambe in avanti, divaricate quasi fosse una marionetta, e si imbelletta in attesa di crescere per dare una svolta all’universo. E così avviene nella memorabile scena finale, dopo che Amleto ci ha fatto percorrere tutti i meandri della sua celeberrima mente tormentata: un’apoteosi di lettere dell’alfabeto lanciate in aria e fatte danzare da tutto il pubblico - eccitatissimo di essere coinvolto - accompagnate da frasi ad alta densità visionaria come “Tutte le parole in rivolta, girano, girano le lettere sul teatro della corte, tutte le parole che perdono la loro lingua, volano, volano nel teatro della corte, in alto, in alto, parole mai immaginate, a creare nuove immagini, nuovi sogni, tutti partecipano, ritornano bambini, parole si formano in libertà, parole mai udite, mai lette, tutti partecipano, cancella questo mondo, una giostra per l’essere inerme, tutto può ancora accadere, tutto deve essere ancora pensato, cancella questo mondo, volano, volano, in questo libro, istituzioni, prigioni, addio, addio, non essere, addio, addio”.
Se volete uscire carichi di energia, pronti a rivoluzionare il mondo, andate a teatro a vedere Hamlice, il più bel lavoro di Armando Punzo, geniale regista della pluripremiata Compagnia della Fortezza.
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Visto: al Teatro Fabbricone di Prato
Produzione: Carte Blanche/VolterraTeatro e Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Informazioni sulle prossime date: www.compagniadellafortezza.org
Con gli attori detenuti della Compagnia della Fortezza: Aniello Arena Buonomo Gennaro Placido Calogero, Dorjan Cenka, Vittorio De Vincenzi, Francesco Felici, Gaetano La Rosa, Massimo Leone, Santolo Matrone, Massimiliano Mazzoni, Sebastiano Minichino, Andrea Pezzoni, Giacinto Pino, Nikolin Pishkashi, Jamel Soltani, Umberto Vittozzi, Edrisa Wadda; Guido Nardin e Edoardo Nardin, con Stefano Cenci e la partecipazione straordinaria di Maurizio Rippa
Il resto della locandina: musiche dal vivo eseguite da Andrea Salvadori, scene di Alessandro Marzetti, costumi di Emanuela Dall'Aglio, movimenti di scena/coreografie di Pascale Piscina, musiche originali e sound designer Andrea Salvadori, collaborazione artistica e assistenza alla regia di Stefano Cenci e Laura Cleri, assistente ai costumi e decorazioni Silvia Bertoni, video Lavinia Baroni, pittura dal vivo di Enrico Pantani
Armando Punzo: ha vinto per Hamlice il premio Ubu alla regia. In passato, è stato premiato per il miglior spettacolo dell’anno nel 1993 con Marat Sade di Peter Weiss e nel 2004 con I Pescecani, ovvero quello che resta di Bertold Brecht
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