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TEATRO

Beckett parla siciliano

Le parole non serviranno più ad aggiustare quell'umanità diroccata e menomata che l'autore irlandese cantava in Finale di Partita, ora riportato in scena dalla regia di Giancarlo Cauteruccio. Per questo i suoi Hamm e Clov parlano un dialetto siculo 'ripulito'. In anteprima a Scandicci fino al 10 febbraio 


di Sergio Buttiglieri

 foto di Carlo Cantini


"Non c’è niente di più comico dell’infelicità", dice, al centro della scena con le pareti ricoperte di stracci alla Burri, Hamm, il protagonista della commedia di Beckett. Un prezioso appuntamento con uno dei classici del teatro del Novecento, è quello che la Stagione del Teatro Studio di Scandicci ci ha da poco proposto in prima nazionale: Finale di Partita con la regia di Giancarlo Cauteruccio, che questa volta, rispetto al suo primo debutto del 1998 (U jocou sta’ finisciennu), ha impastato i dialoghi della celebre coppia con sonorità siciliane più stemperate per renderli più comprensibili.
 
Il dramma beckettiano è uno di quei testi che dopo ormai più di mezzo secolo non smette di comunicarci l’impossibilità, ancor più che l’assurdità, della vita come la vivono i più e l’incongruità di qualunque discorso su di essa. Con Hamm e Clov, l'autore consolida quell’universo amputato di umanità cieca, storpia, e immobile che ha fatto grande il suo teatro, e il tema la decomposizione dell’esistenza, che ricorre in ognuno dei suoi lavori. Hamm, da tempo bloccato su una vecchia e logora bergere sotto le cure di Clov, egregiamente interpretato da Fulvio Cauteruccio, che ne è servitore, figlio e fratello insieme. Percorso da continui, irrefrenabili scotimenti, suo satellite irrisolto, e sempre in procinto di abbandonarlo, per garantirsi l'unico momento dialettico nella sua grigia esistenza. A fianco, dentro due bidoni, i genitori, Nagg - Francesco Argirò - e Nell - Francesca Ritrovato - sono spazzatura maleodorante, come il resto dell’umanità, descrittaci come implacabilmente in via di putrefazione. 
 
Teatro Studio Krypton_FINALE DI PARTITA_ph.Carlo Cantini_4.jpgAd un certo punto Hamm urlerà indispettito al padre: “adopero le parole che mi hai insegnato tu. Se non vogliono più dir niente, insegnamene delle altre. O lascia che me ne stia zitto”. Il domandarsi se la nostra esistenza abbia un qualche significato, l’associare il pianto all’essere vivo, interrogarsi se si e' mai vissuto un solo istante di felicità... ecco alcuni dei quesiti che emergono da questo testo che affronta l’inettitudine della parola rispetto ai dilemmi dell'esistenza. Un'operazione che ci costringe a portare lo sguardo oltre le parole di questo misero uomo in immobile e caparbia attesa della morte: i personaggi dell'autore irlandese sono incapsulati in un tempo congelato e sopravvivono in quel particolare stato di caricatura fittizia "ad alto tasso letterario" che costituisce un po’ la sua cifra stilistica.
 
In Beckett la realtà della morte impedisce letteralmente di esistere, raggela per sempre il vivere in una lunga attesa della fine. E proprio in Finale di Partita, attraverso una variante dell’elemento ferocemente predicatorio che lega tutto il suo lavoro, Cauteruccio, ha saputo mostrarci l’assenza di Dio nel mondo contemporaneo. Per suo tramite, Beckett ci mette ancora una volta faccia  faccia il devastante silenzio della nostra interiorità, ma anche lui può esprimerlo solo parlandone, cioè ritardandolo.



Tags: Finale di Partita, Giancarlo Cauteruccio, recensione, Samuel Beckett, Sergio Buttiglieri, teatro,
08 Febbraio 2013

Oggetto recensito:

Finale di Partita di Samuel Beckett, regia di Giancarlo Cauteruccio

Prossimamente: Al Teatro Studio di Scandicci, in prima nazionale fino al 10 febbraio

giudizio:



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