Quella che Nanni Garella applica all'opera shakespeariana è letteralmente una ridutio: non solo perchè la scena è spoglia di grandi scenografie, lasciando solo attori e testo in scena, ma anche perchè gli stessi attori e lo stesso testo (riadattato) escono ridimensionati da una lettura troppo normalizzante. E l'allestimento diventa metafora dell'Italia teatrale...
di Igor Vazzaz
Un’ampia plaga, sgombra marina dominata dal celeste onnivoro d’un fondale in cui spicca una sfera luminosa a disegnar la luna. Il pavimento di teli descrive un lieve tracciato ondulare, suggerendo la morbida presenza di dune poco accennate. La personale lettura di Otello ad opera di Nanni Garella (che firma da solo traduzione, adattamento e regia) si consuma per intero in questo largo ambiente unico, aperto e disteso, nell’egemonia d’un ceruleo cromatismo che sfuma dall’azzurro intenso delle scene diurne a tonalità acquamarina e turchesi.
È una Cipro di stilizzata rarefazione ad accogliere quindi la cupa tragedia del Moro veneziano, il suo folle schianto nell’abisso inferico d’una gelosia senza freno né limite, marionetta ridicola della tessitura perversa di Iago. La totale assenza d’arredi contribuisce non poco a far degli attori, e solo di quelli, gli oggetti scenici significanti di questo allestimento arioso, corpi mobili dalle silhouette nitide, stagliate nette sul luminoso panno di fondo. Attori e testo, giacché la desertica spiaggia, priva d’orpelli o anche di meri nascondimenti, implica un’assoluta condensazione dell’opera sui personaggi, sulle direttrici dei loro movimenti, sulle loro voci, le loro parole.
Maurizio Donadoni è Iago, deus ex machina della vicenda (e parte, ben più di Otello, che ogni attore vorrebbe vedersi assegnata), colui che tira tutti i fili dell’infame commedia a gabbar il prode milite, colui che fa e disfa senza presentire, alla stregua di altri mirabili vilain scespiriani, che il meccanismo innescato finirà per stritolar senza misericordia pure il suo stesso orditore. L’ottimo interprete lombardo sembra però patire l’eccessiva diluizione del dettato in una riduzione che, contrariamente agli intenti (nelle note di regia si parla di "linguaggio sfasato e incerto, sconnesso, schizoide"), suona normalizzata, nel depotenziamento dell’immaginifica lingua del Bardo a idioma quasi quotidiano.
La recitazione che ne consegue è dunque scostante, alternando momenti vivaci e tesi a battute buttate, come certi grandi attori usano fare quando non sono in vena d’impegno. Il cast, altri sei attori a spartirsi gli altrettanti ruoli della ridutio garelliana, agisce di riflesso: niente male i comprimari, di cui citiamo lo statuario Cassio di Woody Neri e, soprattutto, la meravigliosa Emilia di Federica Fabiani, carattere tra i più dinamici dello spartito originale. Meno bene gli altri protagonisti: l’attesissima Lucia Lavia (figlia d’arte, Gabriele il padre, Monica Guerritore la madre) è una Desdemona esangue e canonica, priva di quelle variazioni dinamiche necessarie al personaggio.
Assai più deludente, però, l’Otello di Massimo Dapporto, povero di colore (e non intendiamo la tradizionale e prevedibile tinta sul volto) in una recitazione diluita che strappa sorrisi a nostro parere fuori luogo o misura. Con Otello si può anche ridere, lo sappiamo bene, ma non certo per evitabili birignao, i quali, anziché sconfessare storia e personaggio (la loro possibilità, come in certi sintagmi beniani), finiscono per minare la pura e semplice qualità d’interpretazione.
Confrontarsi coi classici è necessario o, meglio, inevitabile, ed è dura riscontrare la siderale differenza tra le produzioni nostrane (non tutte, sia chiaro) e certi allestimenti est europei (pensiamo al monumentale Otelas di Eimuntas Nekrosius, ma anche all’Amleto di Oskar Korsunovas) che riflettono impietosamente una distanza, prima ancora che d’inventiva artistica, d’impianto produttivo. Difficile, anzi impossibile reggere il paragone tra sistemi in cui il teatro è posto al centro della vita sociale (per diffusione di spazi, finanziamenti e possibilità di concentrazione sul mestiere per chi vi lavora) e la sgangherata realtà complessiva della scena italica, in cui, salvo rare e resistenti eccezioni, si prova per due settimane, quando va bene, e si debutta tenendo in piedi al contempo più allestimenti possibile per far quadrare i conti e sbarcare il lunario.
A volte, il gioco (in senso estetico) riesce, quasi sempre grazie agli attori, ma, ormai, accade sempre più di rado.
Tags: Alessandro Haber, Cassio, Igor Vazzaz, Lucia Lavia, Massimo D'Apporto, Nanni Garella, Otello, shakespeare,
Otello di William Shakespeare, regia di Nanni Garella
Il resto della locandina: Antonio Fiorentino, scene; Gigi Saccomandi, luci; Claudia Pernigotti, costumi; Gabriele Tesauri, assistente regista; e con Matteo Alì e Gabriele Tesauri
Produzione: Arena del Sole - Nuova Scena, Teatro Stabile di Bologna in collaborazione con 63° Festival Shakespeariano dell’Estate Teatrale Veronese
Prossimamente: a Mirandola, Teatro Nuovo al 29 marzo; a Belluno, Teatro Comunale, dal 31 marzo al 1 aprile; Terni, Teatro Secci, il 3 e 4 aprile; Torino, Teatro Carignano, dal 10 al 15 aprile; Merano, Teatro Puccini, il 18 aprile; Bolzano, Teatro Comunale, dal 19 al 22 aprile; Arezzo, Teatro Mecenate, 24 aprile; Cosenza, Teatro Rendano, dal 27 al 28 aprile
Visto a: Prato, Teatro Metastasio, il 17 marzo 2012
L’antefatto di cronaca: per una questione di baci irruenti, palpate e schiaffi con Lucia Lavia, Alessandro Haber, protagonista originale dell’allestimento, è stato protestato (ossia licenziato) poco prima del debutto, nel luglio scorso, all’Arena di Verona; nei panni di Otello, Franco Branciaroli che, in tutta sincerità, avremmo davvero preferito vedere all’opera anche in quest’occasione
La triste nota: che un allestimento, bello o brutto non importa, conquisti le prime pagine dei giornali per ragioni gossippare, e questa non è certo colpa dei teatranti
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