In Servo di Scena, Franco Branciaroli dirige ed interpreta un mattatore a capo di una compagnia scalcagnata, intento a recitare lo stesso testo per l'ennesima volta e mal servito da un sottoposto che è in realtà il suo aguzzino. Nonostante i forti accenti farseschi la trama sposa fin troppo bene quel che succede sul palcoscenico
di Nicola Arrigoni
Forma e sostanza, racconto e modalità narrativa coincidono in Servo di scena di Ronald Harwood con un Franco Branciaroli che fa il verso agli attori mattatori, al birignao di certo istrionismo d’un tempo - e forse non solo di quello che fu. La scenografia elisabettiana di Margherita Palli divide il boccascena in due parti. In basso ci sono i camerini fatiscenti, spazi angusti, quasi delle tane in cui l’abbandono è evidente, spazi diroccati, macerie di camerini che sono anche il riferimento alla Londra sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, epoca in cui si svolge la vicenda. Sopra c’è la scena, il palco su cui ogni sera la compagnia di Sir Ronald recita una pièce diversa di Shakespeare.
Servo di scena è il racconto della vecchiaia, del delirio, della fatica di un vecchio attore che non ha il coraggio di mollare e della sua compagnia che va avanti, malgrado tutto, decimata e un po’ scalcagnata, legata a quella malattia che è il teatro, legata a quel mattatore che tiene tutti in scacco, in primis il suo assistente, Norman (Tommaso Cardarelli) che gli ha dedicato la vita, così come ha fatto la direttrice di scena Madge (Melania Giglio), rimasta zitella per aver troppo amato Sir Ronald.
All’aprirsi del sipario il mattatore porta in scena Re Lear, malgrado la memoria sempre più labile: lo spinge proprio il suo servo, che ne è succube ma in più punti potrebbe apparire un tiranno subdolo. Il distinguo nei ruoli di carnefice e di vittima è labile fra sir Ronald e Norman, un po’ come fra Hamm e Clov di Finale di partita, un aspetto interessante - ma su cui Branciaroli/regista non insiste più di tanto. Accentuati invece scenografia e costumi iper-teatrali, lungo una cifra di esagerata caricatura che il regista rimarca in nome di un impossibile realismo e di un evidente grottesco.
Servo di scena, che potrebbe essere una farsa amara, è di certo una commedia agrodolce in cui la miseria umana e il mito del teatro si specchiano in un plot irridente. La storia di quel vecchio mattatore che alla fine muore, lasciando nello sconforto il suo servo è una sorta di dramma buffo, sospeso nel tempo e spazio irreale del teatro.
E allora si torna a quello che si diceva all’inizio. Franco Branciaroli che dà fondo alla gigioneria, al birignao, non chiede — da regista — di credere neppure a una parola di quanto si recita, perché tutto è finto, tremendamente finto: i costumi, il trucco, le scene... Alla fine viene da pensare che il senso ultimo di Servo di scena stia nella struttura del racconto, nel ritmo, nelle battute che però faticano a trovare la cadenza giusta, la necessaria incisività, anche nel sollecitare il divertimento della platea.
Questo almeno è quanto accaduto nella replica vista al Ponchielli di Cremona. Tutto è parso rallentato, fiacco, quasi strascicato via... uno spettacolo coperto dalla polvere del palcoscenico, uno spettacolo vecchio stile che denuncia la sua inattualità, per non dire inutilità. E viene il dubbio che l’analisi formale condotta fin qui altro non sia che l’affettuoso tentativo di tutelare uno spettacolo di maniera in cui Franco Branciaroli fa solo Franco Branciaroli, il mattatore sornione e un po’ svaccato di un teatro dell’attore che è ormai irrimediabilmente tramontato.
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Servo di Scena, di Ronald Harwood, regia di Franco Branciaroli
Traduzione di: Masolino D’Amico
Prossimamente: fino al 25 marzo 2012, Teatro Royal, Bari; dal 27 al 28 marzo 2012 Teatro Verdi, Brindisi, 30 e 31 marzo 2012 Teatro Lauro Rossi, Macerata; 1 aprile 2012 Cineteatro San Luigi Concorezzo (Milano); 2 aprile 2012, Teatro Sociale, Pinerolo (Torino); 3 aprile 2012
Teatro Civico, Vercelli; dal 13 al 15 aprile 2012, Teatro Curci, Barletta
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