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TEATRO

Richard III, re e villano

Dopo American Beauty, Sam Mendes dirige di nuovo Kevin Spacey ma fuori dai set di Hollywood. Il palcoscenico del Napoli Teatro Festival ha ospitato il loro allestimento della tragedia shakespeariana: la discesa agli inferi di un sovrano sempre più crudele e più solo, in sintonia con le ultime cronache d'attualità 


di Sergio Buttiglieri

 


Gran finale quello del Napoli Teatro Festival di quest’anno, con uno strepitoso Kevin Spacey, protagonista di uno dei più memorabili Richard III che siano stati mai messi in scena da molti anni a questa parte.  A dirigerlo c’era Sam Mendes, il regista che con cui lui aveva vinto nel 2000 cinque premi Oscar per American Beauty.
 
Oltre ad essere universalmente conosciuto come divo cinematografico dal talento viscerale, Spacey ha, come pochi sanno, una solida formazione teatrale: da alcuni anni è, non a caso, il direttore artistico del The Old Vic, una delle Compagnie teatrali più autorevoli e apprezzate della Gran Bretagna. Qui siamo di fronte ad una grande produzione, con importanti sponsor quali la Bank of America Merrill Lynch bank. Il cast multietnico conta solo attori di ottimo livello, capaci di recitare senza l’ausilio del microfono e dei troppo frequenti "birignao" che spesso sentiamo a teatro, attenendosi le sonorità originali della tragedia.
 
Tre ore e più di spettacolo scorrono a quel ritmo implacabile con cui un giovane Shakespeare aveva congegnato la sua tragedia, più crudele ancora, se possibile, del Tito Andronico. Un aspirante dittatore che fa tabula rasa attorno a se eliminando, in un crescente delirio di onnipotenza, uno per uno tutti i suoi comprimari e le deboli comparse che lo attorniano.

Mendes sa bene quanto la nascita della tragedia elisabettiana assomigli al battesimo del cinema - nel suo mescolare quotidianità e temi alti, con quel succedersi di fulminanti primi piani/monologhi e quei vorticosi piani sequenza/scene corali: ci ha così restituito un Riccardo III in abiti moderni, con di tanto telecomando e protesi deformanti, che serviranno a Spacey per farci percepire meglio quanto la vita sia un’eterna rappresentazione (meta)teatrale delle nostre ossessioni.
 
richard III.jpgNon bastano i titoli delle scene in sovraimpressione, le nuvole cinematografiche che a tratti percorrono in bianco e nero la scena fissa, ideata da Tom Piper, a prospettiva centrale accentuata, quasi fossimo nel cinquecentesco Teatro Olimpico di Vicenza, a nasconderci il fatto che la messinscena è tutta radicata nel pensiero della violenta rappresentazione del mondo che ha introiettato il protagonista. Un mondo che lui conquisterà con quella ferocia che ognuno di noi impara a riporre dentro di sé e che fa vibrare gli spettatori di tensione. 
   
Molti i momenti di devastante potenza verbale contenuti in questo cerebrale Richard III (vicino per molti aspetti al Principe di Macchiavelli) a cominciare dalla sua incontenibile voglia di possedere le compagne delle sue vittime, eccitato proprio dall’impossibilità di riuscirci: le donne in scena vengono tutte irretite tutte da un Faust/Don Giovanni antelitteram destinato a finire ingloriosamente come tutti gli altri Faust della storia, come un Mussolini a Piazzale Loreto. Eventi che siamo abituati a vedere dalla cronaca e che si ripeteranno ancora, magari con il corredo dell’ormai rituale lancio di monetine.
 
D’altronde il teatro tragico è sempre un teatro del degrado. Ciò che ci sconvolge non è tanto la messa in scena della fine del protagonista ma il fatto che lui conosca bene quanto noi la fine che farà e che proprio per quella verrà ricordato. E’ questa l’arte della tragedia, un percorso irreversibile verso la morte del protagonista, che lascia lo spettatore/voyeur a guardare.
 
Riccardo III è in fondo un disincantato, villain perfetto, una creatura teatrale cosciente del male che compie, ben consolidata nella memoria del nostro teatro, al pari di quella shakespeariana: già il discorso iniziale, magistralmente declamato da un Kevin Spacey in stato di grazia, è un lucido attestato di consapevolezza della sua solitudine, e lascia trasparire il suo finale, l’ineluttabile tragico epilogo di un personaggio alimentato unicamente dalla necessità fabbricarsi continuamente dei nemici. Solo così può essere sicuro di esistere.



Tags: Kevin Spacey, Re Riccardo, Richard III, Sam Mendes, Sergio Buttiglieri, shakespeare,
16 Novembre 2011

Oggetto recensito:

Richard III, di William Shakespeare, regia di Sam Mendes

 Tournée internazionale: vedi qui

giudizio:



8.46
Media: 8.5 (11 voti)

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