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TEATRO

Uomini schifosi nella cripta delle monache

Il festival senese Voci delle Fonti propone in anteprima nazionale lo spettacolo di Giuliano Lenzi tratto dai racconti di David Foster Wallace


di Sergio Buttiglieri

 


bicus.jpgMi accorgo sempre più che i festival sono i momenti più fertili per scoprire la potenza del nuovo teatro, fondamentali occasioni per vivere in anteprima i lavori drammaturgici che poi magari gireranno in autunno nei teatri meno ingessati, quelli meno asserviti alle logiche di scambio. In più, durante i festival gli spettacoli in nuce vivono di una luce speciale proprio per i luoghi non canonici dove vengono messi in scena. 
 
 
E questo è proprio il periodo d’oro dei festival: ricordiamo quello di Drodesera, negli spazi da archeologia industriale di una centrale idroelettrica dei primi del '900, incastonata fra le montagne, quello di Santarcangelo, di Volterra, il festival delle Colline Torinesi, o ancora il particolarissimo senese "Voci delle Fonti" giunto quest'anno alla settima edizione.
 
Festival multimediale (teatro, musica, fotografia, incontri) che ha la particolarità di svolgersi in una delle città più amate dal turismo colto, in luoghi ancora poco conosciuti, le antiche fonti di cui è disseminato il suo territorio. E proprio alle Fonti delle Monache, in prima nazionale, in apertura di festival, abbiamo visto B.I.C.U.S., tratto dai racconti di David Foster Wallace. 
  
Un'esperienza che rimarrà impressa nella memoria di ognuno degli spettatori, oltre che per la qualità dei testi di questo inquieto e geniale scrittore, morto suicida poco tempo fa, oltre che per la splendida prova attoriale di Ugogiulio Lurini, anche per l'incredibile location in cui si è svolto lo spettacolo. L'inquietante monologo si svolge infatti in un lavatoio ipogeo, una sorta di rudimentale altissima cripta a volte, ricavata nel tufo, sotto al monastero delle monache Benedettine di Sant'Agnese. Ci si arriva attraverso un lungo ripido tunnel a scalini, a margine delle mura senesi, in un'area ancora ricoperta di vegetazione e orti con una strepitosa vista sulla campagna sottostante, che sembra uscita da un dipinto di Ambrogio Lorenzetti. 
 
Già il modo di introdurci nello spettacolo è in sintonia con il testo di queste Brevi interviste con uomini schifosi che Wallace scrisse nel '99. Un fascinoso signore calvo, in completo di lino beige, comincia a raccontarci tra gli uliveti la storia di questo luogo, quasi fosse una guida turistica. Lo seguiamo fiduciosi lungo i declivi ammirando il paesaggio e piano piano ci caliamo in questa pseudo catacomba medievale completamente scavata nel tufo.
Scendiamo tutti in fila, un po' intimoriti, come fossimo minatori alla ricerca di carbone. Troviamo invece un’ampia vasca, in cui le suore s'immergevano lontane dagli sguardi altrui e in cui lavavano i panni. Sulla vasca, percorsa da pesciolini notturni, ci sono due assi di legno in diagonale, e sopra una seggiolina un po' sgangherata, senza schienale, in metallo e formica da bar anni '60, su cui alla fine la nostra guida turistica si siede mutando la sua voce da un tono suadente da cicerone a un tono interiore, colmo di sbandate e scarti temporali. 
 
Addentrandomi nel flusso ininterrotto di pensieri che l'attore ci srotola in bilico su questa precaria impalcatura, metafora perfetta della precarietà dei nostri ragionamenti, delle nostre azioni, subito mi viene in mente un passo di Wallace tratto da un altro suo magistrale libro: Oblio, in cui rende efficacemente tangibile quanto sia aleatorio il nostro concetto di tempo lineare: “magari ti trovi nel mezzo di una riunione creativa al lavoro o roba del genere e per la testa ti passa tanto di quel materiale in quei brevi istanti di silenzio in cui i partecipanti scorrono i propri appunti in attesa della presentazione successiva che ci vorrebbe un tempo esponenzialmente più lungo dell'intera riunione soltanto per tradurre in parole il flusso di pensieri sorto nel silenzio di quei pochi secondi...”. Esattamente la sensazione che proviamo nell'ascoltare questo folle monologo, intervallandone gli interspazi con i nostri flussi mentali altrettanto caotici.
 
E si comincia dalla impietosa analisi del terzo appuntamento con chi si vuole portare a letto, o meglio ancora si osserva, come un entomologo, la reazione di lei, ascoltando in sottofondo Ligeti, alla domanda: come la prenderesti se ti legassi? 
 
Wallace sa che il silenzio permette alla frase d'imprimersi. Sa che "i rifiuti sono assai di rado ostili, meno del 15%". Sa che lui in pratica propone uno scenario contrattuale, sa, meglio di uno studioso di prossemica, che "il miglioramento della postura che subentra alla sua imbarazzante frase denota in lei la voglia di sottomettersi", pur se invece sta esternando un classico "Non credo alle mie orecchie". C'è in questi racconti di Wallace una raffinata mappa psicologica di ciò che accade nella mente delle persone di fronte a chi tenta di sottometterle con il potere delle parole. C'è in Wallace una elaborazione di cartografie interiori che ha pochi confronti per il grado di approfondimento in cui sa condurci senza tediarci. 
 
Una precisione che l'attore tenta di farci percepire con la sua millimetrica gestualità, densa di micro tic, come quello di sfiorarsi continuamente il sopracciglio, per poi assaporarne il sapore residuo dalle dita alla bocca. Questa residualità di sapori è in qualche modo la residualità delle contorsioni mentali che l'autore vuole svelarci, facendole derivare dal rapporto malato con la madre, che prestissimo gli spezzò la volontà. E il flusso interiore di Ugogiulio Lurini è reso ancora più tangibile dai suoni elettronici che ad un certo punto Marco Bianciardi porta in scena. 
 
Il secondo episodio ha come protagonista una scema integrale in lacrime all'aeroporto di Orio al Serio, vestita con dei jeans rosa che gridano in tutte le lingue del mondo: fottimi. Aspetta uno stronzo che non arriverà e lui, più stronzo ancora del primo ("perchè gli uomini sono tutti dei bastardi", gli dicevano le sue amiche) prenderà la palla al balzo. 
 
Il terzo episodio, che sembra quasi un fuori programma, ci mostra una sorta di improbabile Superman dalla parrucca nera, che ci spiattella il suo non essere un tipo che al mattino guarda internet per sentire i discorsi di Bersani, e di paradosso in paradosso arriva sempre lì, a riconfermaci quanto gli uomini siano schifosi…



Tags: anteprima nazionale, brevi interviste con uomini schifosi, David Foster Wallace, festival, festival voci di fonte, giuliano lenzi, Sergio Buttiglieri, sesso, siena, ugogiulio lurini,
22 Giugno 2010

Oggetto recensito:

B.i.c.u.s., da David Foster Wallace, regia di Giuliano Lenzi

Produzione: laLut/Festival Voci di fonte
In tournée: a partire dall'autunno prossimo
Programma completo del festival, che dura fino al 23 giugno: www.vocidifonte.org

giudizio:



7.515
Media: 7.5 (2 voti)

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