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FILM

Che brutto, l'uomo nero

Sa di stantio l'ultimo film di Sergio Rubini


di Andrea B. Previtera


C’è un Cinema italiano che odora di finanziamenti Rai e, pur con alcune qualità, buoni attori e tecnici d’eccellenza, non riesce proprio a nasconderlo questo odore un po’ stantio. Che è l’odore dei passaggi tv pomeridiani e della prevedibilità di certi elementi, l’odore di una certa miscela preconfezionata di montaggio, fotografia e recitazione. Ed è anche l’odore de L’uomo nero, la decima regia di Sergio Rubini.

Protagonista inevitabile lo stesso Rubini, interprete del padre in una pellicola parzialmente autobiografica che prende spunto da percorsi d’infanzia. Poi, Valeria Golino – sempre difficile da inquadrare nella sua recitazione multiuso al gusto di psicofarmaco – e Maurizio Micheli piacevole macchietta. C’è anche Riccardo Scamarcio: matura di film in film, e merita un “bravo” nel ruolo dello zio scanzonato e belloccio che è stato pigiato a forza nella trama per attrarre una certa fascia di pubblico. Dell’Anna Falchi con accento romagnolo, non vogliamo, non dobbiamo, non possiamo parlare.

Che brutto, L’uomo nero. Sa un po’ di filastrocca ma è la prima considerazione che affiora appena oltre i titoli di coda e la considerazione asprigna sul cinema di tasca Rai. Non vogliamo offendere l’infanzia di Rubini, ma la trama è scialba e allunga in unbrodo acquoso di due ore quello che avrebbe potuto essere un semplice “mi ricordo di quella volta che papà...” da cinque minuti a un pranzo di famiglia.
La colonna sonora di Piovanelli (La vita è bella) è irritante - sempre lì a sottolineare qualunque cosa, anche l’apertura di un rubinetto dell’acqua, martellando su quelle parentesi di qualche riga sopra: basta chiudere gli occhi e siamo di fronte all’Italia fascista di Benigni anzichè negli anni sessanta della provincia pugliese.
La trama, dicevamo. Viene davvero per ultima, e ci racconta di Ernesto, pittore costretto dagli eventi al lavoro di ferroviere, vessato dalle bassezze dei notabili di un paesello del sud vagamente pirandelliano. Il Professore, l’Avvocato, con iniziali rigorosamente maiuscole e altrettanto maiuscole ottusità, dispongono a seconda di umori altalenanti del successo di una piccola mostra personale del protagonista. Gli occhi del figlio come obiettivo fanno da scusante ad alcuni momenti trasognanti e ad un finale che vorrebbe sorprendere.
 
L’uomo nero è proprio bruttino, ci mette davanti al blocco creativo di un cinema italiano che sembrava in ripresa ma che invece scopriamo aver trovato semplicemente una formula intermedia tra i capolavori del passato e gli abissi vanziniani, per poi riutilizzarla ancora e ancora e ancora – e ancora. E sperando di non aggiungerne prossimamente un quinto, cerchiamo l’uscita della sala senza che ci sia rimasto molto: per un film costruito sui ricordi, non lasciarne alcuno è un risultato un po’ stridente.
 



Tags: Andrea B. Previtera, cinema italiano, l'uomo nero, maurizio micheli, pirandello, rai, riccardo scamarcio, sergio rubini, valeria golino,
29 Dicembre 2009

Oggetto recensito:

L’UOMO NERO, DI SERGIO RUBINI, ITALIA 2009, 116 M.

giudizio:



8.2575
Media: 8.3 (8 voti)

Commenti

brutto L'uomo nero? ma che

8.01

brutto L'uomo nero? ma che film hai visto? Non sono per nulla d'accordo. E' un film bellissimo. Una commedia divertente e commovente allo stesso tempo con un finale che non ti aspetti e che ti fa dire ben fatto! Gli attori tutti molto bravi, Scamarcio anche se ha un ruolo minore è davvero bravo e ironico in questa parte, ma i migliori sono il bimbo e Valeria Golino (candidata per questo film ai nastri d'argento... l'unica del cast ti sottolineo). Bravissima, ti fa vivere questa donna, moglie e madre costringendoti e tifare per lei!

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