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MUSICA - ANNIVERSARI

Addio anarchia bella

Cento anni fa moriva Pietro Gori, avvocato e poeta: scrisse le parole di Addio a Lugano, che sarebbe diventato l'inno degli anarchici 


di Marco Buttafuoco

L'attentato al presidente francese Sadi Carnot per mano dell'anarchico Caserio 


Hanno al posto del cuore un sogno disperato / e le anime corrose da idee favolose. 
 
Così Leo Ferrè, il più grande dei poeti libertari descriveva i suoi compagni di fede, in una canzone intitolata appunto Gli anarchici. Cento anni fa a Portoferraio, isola d’Elba, moriva a 46 anni Pietro Gori, avvocato, poeta e agitatore anarchico. Il suo nome resta legato alla storia dei movimenti libertari italiani più che per un apporto teorico vero e proprio, per i versi di una canzone, Addio a Lugano. Una canzone che esprimeva l’implacabile innocenza della giusta causa e l’immane malinconia di una lotta sempre impari e apparentemente sempre perdente. 
 
I versi furono scritti nel 1895. Dopo il mortale attentato al presidente francese Sadi Carnot, Gori, amico e avvocato dell’attentatore, il fornaio anarchico Sante Caserio, fu accusato dalla stampa dell’epoca di essere l’ideatore del delitto. Fuggì con altri a Lugano, per evitare una condanna, ma le autorità svizzere ne decretarono l’espulsione. 
 
Il canto divenne, anche se mesto e per niente solenne, una specie di inno dell’anarchismo italiano. Lo cantarono sommessamente i partecipanti al funerale di Giuseppe Pinelli, nel dicembre del 1969. Restò nella memoria popolare, non solo in quella dei militanti libertari. Lo suonano tuttora le bande di paese, lo cantano cori amatoriali; l’hanno messo nel loro repertorio cantanti come Milva e Antonella Ruggiero. Daniele Sepe ne ha dato una rilettura struggente, in bilico fra il ballo liscio e la malinconia profonda. Su YouTube si trova anche una registrazione televisiva del 1964, cantata da Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Otello Profazio, Lino Toffolo, Silverio Pisu. (video alla fine dell'articolo). 
 
180px-Pietro_Gori.jpgParlava di cavalieri erranti, quell’antica aria (l’originale era un canto toscano del 1830 chiamato Addio Sanremo Bella) basata su pochissimi accordi e su un semplice ritmo in 6/8. Diceva di lontananze, di abbandoni, di esilio. Fu così la vita di Gori. Viaggiò a lungo, da esule, per l’Europa e le Americhe. Sempre per citare la canzone di Ferrè fu di quelli che gettarono “testardi, la vita alla malora”, che ebbero sempre “la malinconia per compagna di danza”.   
 
Le sue poesie, molte delle quali diventate inni anarchici, raccontano sempre di questo sentimento di precarietà, e di lontananza. I suoi eroi erano “mesti navigatori”, erano “raminghi per le terre e per i mari”, coraggiosi e incompresi, come quel Sante Caserio cui dedicò alcuni dei suoi versi più accorati. Eroi alla ricerca di un mondo ideale, di una “terra dell’alleanza fra mente e braccio, giustizia e cor”. Gori scrisse anche alcune strofe sull’aria del Nabucco verdiano. Versi più magniloquenti ma con un finale anche qui triste, dedicato ad un “veggente poeta che muore”.
 
Ma le meste e combattive strofe di Pietro Gori non sono archeologia ideale, banalità ottocentesche. Un disco del gruppo Les Anarchistes uscito due anni fa e dedicato alle sue canzoni, svela invece come quella poesia situata a metà fra il popolare ed il manierismo carducciano possa essere espressa perfettamente con sonorità elettriche, con accenti di rock e profumi di jazz e musica etnica. Forse Pietro Gori non è morto, insomma. Forse nemmeno le idee favolose. 
 
 
 


Tags: anarchia, anniversario, antonella ruggiero, daniele sepe, Marco Buttafuoco, milva, pietro gori, recensione, sante caserio,
07 Gennaio 2011

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