Presentato in Piazza del Duomo a Prato, Infernal Comedy ha visto l'interprete croatoamericano nei panni dell'assassino Jack Unterwerger. Ma il contesto teatrale non gli dona e lo priva delle sue doti migliori
di Igor Vazzaz
Anno sfortunato, in ambito teatrale, per gli hollywoodiani in Italia: dopo il tentativo non del tutto centrato di John Turturro con le Italian Folktales da Calvino, Pitré e Basile, tocca a John Malkovich deludere le aspettative del pubblico accorso per assistere alla sua interpretazione di Jack Unterweger in The Infernal Comedy dell’autore e regista viennese Michael Sturminger.
Si sfida la calura dell’entroterra toscano, incuriositi da uno spettacolo di fattura internazionale (debuttato in California nel 2008 e passato al Festival dei Due Mondi di Spoleto), fiduciosi nel chiudere al meglio un anno denso di visioni e spettacoli.
Si dà il caso che il celebre attore (quello che in molti vorrebbero essere, stando alcelebre film del 1999) abbia aperto un atelier a Prato, città che, negli anni, ha manifestato una vita culturale assai più attiva delle nobili città limitrofe. Si dà, inoltre, il caso che, in occasione dell'apertura di questo centro (che si occuperà di moda, arte contemporanea e altre cose che non abbiamo ben capito), il comune cittadino è riuscito ad assicurarsi l'inserimento nel cartellone estivo dell’allestimento teatral-musicale che vede il tenebroso interprete d'origine croata nei panni di un serial-killer austriaco realmente esistito, protagonista d'una paradossale e sanguinosa storia di condanna, apparente riabilitazione e conclusiva morte per suicidio.
Lo spettacolo si annuncia interessante e ambizioso: non solo teatro di parola, dato che ad accompagnare il monologo dell’assassino vi sono una formazione orchestrale barocca (nella fattispecie la Wiener Akademie Orchestra, diretta da Martin Haselböck) e gli interventi di due soprano (Laura Aikin e Aleksandra Zamojska), a testimonio d’uno sforzo produttivo tutt'altro che irrilevante.
L'idea, poi, che a vestire i panni di un assassino scaltro, dalla storia movimentata e piena di sorprese, sia uno dei volti più ambigui del cinema mondiale fa sì che il pubblico della bella piazza pratese sia predisposto ad assistere a un vero e proprio evento.
Eccolo, dunque: John, abito bianco e nero, figura esile, affilata, traiettorie dirette. Il teatro, e specialmente il teatro nelle piazze, dove le distanze sono destinate ad aumentare, lo privano della sua arma attorica principale, il volto. Non si può giocare sull'increspatura delle sopracciglia, sulla minima, minuziosa variazione dell'espressione, quel tocco impercettibile e magico che dettagli e primi piani amplificano a dismisura: il teatro è arte del gesto rotondo, della biacca sul volto, dell'ampiezza dei movimenti. Se a questo si aggiunge un testo esile - giocato su un sense of humour quasi mai ben portato, che resta sempre distante e dal macabro più schietto e dalla scherma più raffinata, ecco che Malkovich si ritrova a giocare in un campo ignoto, costretto a un'interpretazione a metà strada tra lo stand up comedian e il personaggio-che-dovrebbe-essere. Non turba e neppure fa ridere, portando peraltro una vocina per niente consona col "suo" carattere e che, calata nell'inglese zoppicante del killer austriaco, risulta senza centro, senza profondità, senza spessore.
Dinanzi a cotanto spreco di mezzi, la spalla musicale, pessimamente amplificata, risulta un lusso del tutto superfluo, così come gli interventi delle due soprano (meglio la Zamojska), dato che testo teatrale e partiture s'amalgamano male, dando vita a un insieme scomposto: gli inteventi canori sono spesso pesanti, mal gestiti nella durata (qualche taglio alle forme ritornellate tipiche del barocco avrebbe di certo giovato alla fruizione) e nell'economia d'una sinossi scomposta, mal supportata dalla recitazione satireggiante del protagonista.
Uno sfacelo. Sfacelo cui poco o nulla può fare Malkovich, anche a fronte di qualche sparuto passaggio in cui il testo sembrerebbe toccare qualche spunto degno: niente di sconvolgente, riflessioni in nuce sul concetto di verità, di colpa e innocenza, che restano comunque l'oggetto d'indagine della gran parte delle opere teatrali e narrative.
Gli applausi non mancano, è vero, ma sono quasi timidi, specie se rapportati alla statura del cast. Si notano sorrisi tirati, sogni infranti, una platea muliebre apparecchiata all'orgasmo che è stata puntualmente tradita. Peccato: non tanto per le attese deluse, ma per uno spettacolo mal pensato e mal realizzato, che potrebbe aspirare a grandi risultati e, invece, si trova impantanato nello stanco e rivisto schema della superstar in pasto al pubblico. É andata così, poco da aggiungere, se non un arrivederci a tutti, a settembre.
Tags: attori americani, Igor Vazzaz, Infernal comedy, Italian folktales, italo calvino, Jack Unterweger, John Malkovich, john turturro, Michael Sturminger, prato, recensione,
The Infernal Comedy – Confession Of A Serial Killer, di Michael Sturminger, con john Malkovich
Informazioni e repliche: www.theinfernalcomedy.org
Il testo: lo trovate qui
Le musiche: brani variamente selezionati da opere di Gluck, Boccherini, Vivaldi, Mozart, Beethoven, Haydn e Weber
Suoni dell’altro mondo: al netto della peculiare composizione d'un ensemble barocco, com'è possibile dover sentire un suono del tutto privo di frequenze basse, in cui i contrabbassi sembrano uscire da una radio d'epoca?
La delusione/1: la voce, e la pochezza di un interprete che ci saremmo attesi titanico
La delusione/2: uno spreco di mezzi simile è insopportabile, soprattutto se si considera che gli americani sanno fare teatro e di grandissima fattura. Forse è il nostro anno sfortunato
Sadismo: il piacere voluttuoso contemplando la delusione delle signore e signorine presenti
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