Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa di nuovo assieme sul palcoscenico, sotto la direzione di Alfonso Santagata, questa volta per dare voce (e musica) a un testo di Andrea Bajani. Il protagonista di 18.000 giorni - il pitone è un uomo inghiottito e risputato fuori dall'ufficio all'età di cinquant'anni
di Nicola Arrigoni
18mila giorni - il pitone di Andrea Bajani, il racconto dolente di un cinquantenne che ha perso il lavoro e la sua stessa identità, dove i 18mila giorni del titolo corrispondono proprio all’età anagrafica del protagonista: quei 50 anni che possono segnare un confine, anche un punto di non ritorno se qualcosa si rompe, se il lavoro ti rifiuta.
Di questo narra lo spettacolo, del dramma esistenziale di un uomo che ha perso il lavoro e con esso la vita. La moglie Tea e il figlio Tommaso l’hanno lasciato in una casa vuota con un grande mucchio di vestiti, una sedia sfondata e alcuni abiti ripiegati che un tempo stavano in armadi che non ci sono più. In mezzo a quegli abiti si aggira, anima in pena e arrabbiata, una persona sconfitta, corpo senza più voglia di combattere e tanti, troppi ricordi da tenere a bada e una solitudine che divora.
Metafora e musica, la forza dell'interpretazione di Giuseppe Battiston e le canzoni di Gianmaria Testa diventano un tutt’uno, "amalgamati" con poetica essenzialità dalla regia di Alfonso Santagata. Il risultato è una prova d’attore che conferma la capacità di Battiston di riuscire vero, incisivo, credibile in ogni gesto, in ogni accento, in ogni movimento, anche quando il testo sembra avere svelato la metafora del ‘mettiti nei miei panni’: panni che restano lì senza corpi, fantasmi di una vita che se n’è andata, fantasmi fermati in quei vestiti che evocano presenze che non ci sono.
L'attore non usa una parola in più, non un gesto fuori registro per raccontare l’angoscia del protagonista che si ritrova fatto fuori dal "pitone", ovvero quel giovane che lo affianca in ufficio ed è pronto a crescere fino a mangiarselo. Lo stesso uomo che si presenta nel giorno del suo licenziamento con l'abito usato per il funerale del padre, quel funerale mancato per rincorrere la promozione, solo poco tempo prima di ricevere il ben servito.
Frammenti di una quotidianità che è oggi più che mai e cronaca, ma che la parola poetica di Andrea Bajani sa rendere da condizione individuale ad assoluta, in cui è possibile identificarsi, in cui si coglie la condivisione di un fallimento, il baratro di un abisso, la vita che improvvisamente si fa insopportabile: per sopravvivere bisognerebbe far finta di essere morti, nella speranza che il pitone ci passi accanto e non ci divori.
Tutto questo succede in scena, durante un dialogo intenso e unico fra parola e musica, fra Gianmaria Testa che commenta quanto racconta Battiston: le canzoni e la drammaturgia s’intrecciano in un’unica partitura, dove il cantautore piemontese è esso stesso apparizione, testimone interno all’azione, confidente "sognato" dal protagonista o, ancora di più, alter ego dello spettatore testimone ad un dramma di ordinaria quotidianità ma di straordinaria drammaticità.
Per quanto non sfugga ad una certa ripetitività e soprattutto in alcuni forzose digressioni che appesantiscono il plot, 18mila giorni è un esempio di teatro contemporaneo che si restituisce alla platea. La bravura di Battiston che sa essere vero senza scadere nel falso realismo, l’intensità di una tradizione cantautorale che Gianmaria Testa incarna con autorevolezza, e il tutto tenendo a bada in maniera intelligente retorica e moralismo. E non è cosa da poco.
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18mila giorni – il pitone, testo di Andrea Bajani, regia di Alfonso Santagata
Tournèe: fino al 18 marzo Teatro Quirinetta, Roma; 19 marzo, teatro Alighieri, Ravenna; 20 marzo Teatro Comunale, Cormos (Gorizia), 23 – 24 marzo Teatro Due, Parma.
L'altro: gli stessi Testa e Battiston sono protagonisti di un altro spettacolo, basato sull'Italy dei migranti cantata dal Pascoli. Qui la nostra recensione
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