Il più quotato fra gli artisti viventi approda in Laguna per l'esposizione Death in Venice: sono presenti all'appello crocifissi, tele gotiche, teschi indiamantati e ogni possibile variazione sul tema del memento mori. Quel che manca, forse, è un po' di novità
di Chiara Di Stefano
Damien Hirst, l’artista vivente più caro del mondo, è esploso negli Anni Novanta al seguito degli Young British Artists e del gallerista Charles Saachi ed è celebre per la sua controversa interpretazione del sempiterno tema del memento mori. Hirst ci ha abituati allo scandalo con i suoi animali conservati in formaldeide e con l’utilizzo di scheletri (Where Are We Going? 2000-2004) e infine con teschi umani tempestati di diamanti: For the Love of God, 2007 è stata l’opera più costosa di sempre messa all’asta e andata deserta costringendo Hirst a ricomprarsi il lavoro (sopra Face on (with diamond dust), 2009).
Ma fino a quanto si può tirare il filo dello scandalo? Fino a quanto si può chiedere agli spettatori, benché affezionati, di guardare sempre le stesse cose? La mostra pensata proprio per Venezia, che parafrasa il racconto di Thomas Mann, è nuovamente la ripetizione degli stessi stereotipi su morte, teschi e tele composte da ali di incolpevoli farfalle a richiamare le vetrate gotiche (Faithless). Non c’è neanche il raccapriccio della visione delle celebri installazioni di animali in formalina: Golden Calf (2008) agnello vero con vero oro a comporre i suoi zoccoli, le sue corna e il disco sulla testa, che tanto aveva impressionato a Londra, è presente solo in riproduzione fotografica numerata.
La croce di legno di cedro intarsiata da pillole medicinali di plastica e resina sintetica (The Crucifix) presa in prestito dalla mostra New Religion (evento collaterale alle Biennale di Venezia 2007) è l’unica opera davvero interessante, a significare la nostra dipendenza dai medicinali che sono per Hirst la religione del nuovo millennio, nonchè l’unico argomento su cui ancora riesca ad essere incisivo ed evocativo. Death in Venice, il lavoro che da il titolo alla mostra, è composto da alcuni collages di volti decostruiti dei quali non si coglie molto il senso nè tantomeno lo scandalo, solo un evidente ritorno ad un certo sapore dada e surrealista in chiave post-pop che lascia senza molti aggettivi qualificanti (a destra, The Crucifix, 2005).
In sostanza questa mostra non è nient’altro che una raccolta di stampe: stampe con teschi fluo (FushiaPink-LimeGreen,2009), stampe di installazioni, stampe di teschi umani con o senza polvere di diamanti che, nonostante l’utilizzo della nobile materia, non convince affatto e lascia lo spettatore a riflettere sì sulla fine e sulla morte, ma quelle della vena ispirativa dell’artista che, a quanto ci è dato vedere qui, sembrerebbe totalmente esaurita.
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Death in Venice, Damien Hirst, Galleria Michela Rizzo, Palazzo Palumbo Fossati, San Marco, Venezia
Curatore: Valerio Dehò
Fino al: 31 luglio
Orari: da martedì a sabato: 10.00 - 12.30 / 15.30 – 19.00
Ingresso: libero
Info: www.galleriamichelarizzo.net
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