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FILM

La via crucis di Pietà

Il film vincitore dell'ultima edizione della Mostra di Venezia vede l'incontro tra lo spietato torturatore alle dipendenza di uno strozzino e la donna che sostiene di essere sua madre. Una totale assenza di sentimenti contro un forte senso materno sono le due direttrici di una tragedia greca per la regia di Kim Ki-Duk


di Gianpaolo Fissore

 


Un vecchio quartiere popolare di periferia di Seul: baracche e casupole in via di demolizione circondate da svettanti grattacieli. Spariranno, e con esse sono predestinati a scomparire gli ultimi artigiani e le loro piccole officine meccaniche, mantenute al prezzo di prestiti usurai. Chi non ha i soldi deve fare i conti con un esattore che in qualche modo riuscirà ugualmente a ottenere dalla vittima il previsto, e lauto, risarcimento.
 
L’inviato sul campo dallo strozzino-capo è un bel giovanotto (Lee Jung-Jin) che esercita il mestiere, cioè storpiando, amputando, uccidendo le sue vittime, senza tradire emozione alcuna. Martirizza gli indifesi predestinati con il volto inespressivo dell’aguzzino, insensibile alle suppliche, inossidabile alla compassione, impermeabile all’orrore e al dolore che dissemina intorno a sé. Senonché compare una donna (Cho Min-so), affermando di essere la madre che lo abbandonò in fasce. Per provarlo accetta anche di sottoporre il suo corpo alla più cupa brutalità.
 
pieta-kim-ki-duk--2--545265_0x410.jpgSi misurano, nell’incontro tra il criminale senza famiglia e la fragile, addolorata “vergine dai capelli corvini” (la definizione della protagonista è dello stesso regista Kim Ki-Duk) che si umilia al suo cospetto, due opposti eccessi: da una parte la crudeltà inaffettiva come scelta di vita, dall’altra l’amore materno come unico e ultimo senso della vita. L’ostinazione di quest’ultimo fa breccia nell’algido delinquente. Insinua una crepa nel muro della sua indifferenza verso i sentimenti altrui, dà l’avvio alla legge del contrappasso.
  
La trama di Pietà, meritatissimo vincitore all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, è da tragedia greca, una tragedia nella quale si ribaltano i ruoli di vittima e carnefice e al sentimento della “compassione” si arriva solamente attraverso il compimento di una meditata vendetta. Ma questo non è teatro, è cinema di un autore lucido, spietato e di straordinaria capacità espressiva. I dialoghi sono ridotti all’essenziale, la caratterizzazione dei pochi personaggi è affidata alla presenza scenica degli interpreti. Fin dall’incipit è affidato a scene di rara e rapida brutalità il compito di scandire, come lampi, i tempi del racconto.
 
Gli eccessi, come già in altri film del regista coreano, non appaiono gratuti, e non solo in quanto scene a effetto finalizzate a non concedere tregua allo spettatore. Qui, con ritmi quantomai serrati e senza ridondanze stilistiche, violenza, sangue e sesso incestuoso appaiono tappe di un percorso verso una presa di coscienza, che si potrebbe chiamare rinascita se non coincidesse con il suo opposto, cioè con la morte. A meno che non che non si voglia accogliere fino in fondo il messaggio del regista, che, mentre contrappone all’avidità distruttrice del denaro la forza riparatrice dei sentimenti, non disdegna le suggestioni mistiche, scegliendo per il finale le note del Kyrie Eleison ("Signore Pietà"), preghiera che rieccheggia sulle ultime immagini, come estremo, universale, messaggio di penitenza.



Tags: Corea, film, Gianpaolo Fissore, Kim Ki-Duk, Pietà, recensione, venezia 2012, vincitore,
19 Settembre 2012

Oggetto recensito:

Pietà di Kim Ki-Duk, Corea del sud 2012, 104 m

 

giudizio:



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