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DISCHI

Jarrett e Haden, il crepuscolo degli dèi

Due leggende del jazz moderno tornano a suonare insieme dopo decenni. Jasmine è un disco di standard in cui due signori malinconici e un po' tristi riversano tutta la loro poesia


di Marco Buttafuoco


jerrh.JPGDi solito le cosiddette reunion jazzistiche sono trappole commerciali. Quando dei partner non hanno più niente da dirsi da decenni è tempo perso farli rimettere insieme ad autocelebrarsi o a cercare nuove ed improbabili strade. Le eccezioni sono rarissime, (il quartetto Quest di Dave Liebmann e Richie Beirach ne costituisce una e luminosissima). Di solito l’appassionato fiuta subito il trucco e rimane gelido, diffida.
 
Davanti a un disco come questo Jasmine invece, il discorso si fa più complicato. Charlie Haden e Keith Jarrett non suonavano insieme da circa trent’anni, da quando avevano sciolto l’indimenticabile quartetto con Dewey Redman ai sax e Paul Motian alla batteria. In duo si ricorda solo un’incisone occasionale, niente di che. Quale poteva essere l’esigenza artistica di ritrovarsi a suonare dopo tanto tempo e oltretutto partendo dai materiali abbastanza abusati degli standard?
 
Di più, negli ultimi tempi Jarrett ha un po’ ripetuto sé stesso, sia in solo che con il fantastico trio. Il contrabbassista dell’Iowa invece si è dato ad una musica piacevole come quella del Quartet West o dei duetti con Pat Metheny, molto lontana dalle sue radici di sperimentatore free. La sua stessa debordante passione civile non aveva sempre trovato adeguata risposta musicale nei dischi della Liberation Orchestra. Addirittura, in una incisione del 2008, Haden aveva reso omaggio, filologicamente parlando, alla sua famiglia di musicisti country. In altre parole c’era più di un motivo per guardare con sospetto a questa operazione Ecm.
 
All’ascolto invece, molte perplessità critiche sono cadute. Come spiega Jarrett nelle note di copertina, i due hanno inciso questo disco in alcuni giorni, nello studio privato del pianista. Semplicemente per il piacere di suonare assieme, di ascoltarsi, di cercare una malinconica bellezza in quelle vecchie melodie. Due anziani signori un po’ tristi, convinti che, come scrive Jarrett, l’arte stia oggi morendo e che la comunicazione dei sentimenti rischia di morire con essa, si sono ritrovati ed hanno inciso queste otto tracce quasi tutte lente, tutte molto riflessive. E hanno tenuto lì per tre anni i nastri. Poi Jasmine è nato.
 
Un disco, dice il pianista, “da ascoltare a tarda notte, con la persona che amate”. Detta da altri una frase del genere avrebbe fatto venir voglia di non aprirlo nemmeno. Invece questi due monumenti viventi della creatività jazz hanno preso sul serio la missione di raccontare la loro malinconia crepuscolare e hanno messo nelle note il meglio della loro poesia. Perché a loro la poesia è rimasta, così come la capacità di commuovere.
 
Non hanno detto niente di nuovo, sia chiaro. Probabilmente la loro parabola creativa ha raggiunto il vertice qualche decennio fa. Ma la musica di Jasmine intenerisce, con il suo suono essenziale e pulito, con quella disarmante, un po’ decadente semplicità, quella voglia di toccare il cuore che non scade mai nel minimalismo o nel bozzetto. Diciamocelo chiaramente: a due musicisti così si finisce per perdonare tutto.



Tags: charlie haden, contrabbasso, dave liebman, Dewey Redman, duo, ecm, jasmine, jazz, Keith Jarrett, liberation orchestra, Marco Buttafuoco, pat metheny, Paul Motian, pianoforte, standard,
17 Luglio 2010

Oggetto recensito:

keith jarrett e charlie haden, jasmine, ecm 2010

giudizio:



7.7625
Media: 7.8 (8 voti)

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