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TEATRO

Il Nabucco e l'olocausto

Debutta alla Scala l'opera di Giuseppe Verdi nell'allestimento del maestro Daniele Abbado, che arricchisce il racconto dell'esodo con un suggestivo rimando alla Shoah e alla persecuzione degli ebrei. Soddisfacente le interpretazioni e il piacere corale di essere, ancora una volta, un tutt'uno con l'opera


di Sergio Buttiglieri

 


Cìò che rimarrà nella memoria del pubblico scaligero di questo Nabucco, opera giovanile del grande maestro di Busseto (debuttò alla Scala nel 1842) è prima di tutto l’inedita interpretazione in chiave astratta, ma con un riferimento esplicito alla Shoah. La scelta del regista Daniele Abbado (da alcuni ritenuta gratuita e fuori luogo, ma che a noi è piaciuta) contamina le scene e veste i cantanti in abiti novecenteschi (ideati da Alison Chitty): sullo sfondo intanto venivano proiettate "in grande" le vicende del palcoscenico.
Complementare la visione dall’alto, in un bianco e nero che la tingeva di ulteriori evocazioni storiche verso il popolo perseguitato, che si aggirava tra stele funerarie e campi di sterminio (o alle prese con gracili idoli stilizzati in fil di ferro), che occhieggiavano profeticamente ad una metropoli zeppa di falansteri, senza più serenità.
 
Il coro che Verdi usa in maniera sempre stupefacente in quest’opera (l’affiatato Coro del Teatro alla Scala ben diretto da Bruno Casoni), per arrivare poi al Va' pensiero, non è altro che il contraltare , la "voce" di noi spettatori. Quando va in scena Verdi, il pubblico s’innesta profondamente, quasi come una sorta di delegazione in palcoscenico, "entra" nelle masse corali e ne diviene parte integrante, in forza di un irresistibile transfert emozionale.
 
IMG_2168.jpgLa grandezza di Verdi, e il direttore ce lo ha dimostrato ampiamente, sta nell’insuperata capacità di colpire l’attenzione degli spettatori attraverso un gioco di tensioni e distensioni, di precipitazioni ed indugi, esplosioni e contrasti. Un assortimento servito su una base di musica "plebea", a tratti persino ingenua, dal sapore bandistico, agli antipodi di quella wagneriana, ma che forse proprio per questo molto riesce come madeleine musicale collettiva, molto più di quella del compositore tedesco.
 
E' bastato osservare il trasporto maieutico di Luisotti nell’ouverture (con i suoi ritmi marziali, stilemi che si riflettono nell'andamento processionale dell’opera), per tornare ad apprezzare la grandezza di questo “melodrammone”. Zompettante, con le gote gonfie, ricco di gestualità esplicative, ha irretito assieme all’Orchestra anche noi, restituendoci tutta  la grandezza di queste pagine verdiane. Le melodie clou del Nabucco sono già tutte lì, compresse all’interno dell’ouverture come una sorta di sublime trailer dell’opera, tutta declinata sull’esilio che andremo ad ascoltare.
 
Se l'esecuzione a Milano ci ha gradevolmente imbrigliato è anche grazie alla solida resa vocale dell'applauditissimo baritono Leo Nucci, nel ruolo dell’ambizioso Re dei babilonesi che si credeva Dio: una parte in cui ha riconfermato la straordinaria capacita' di “possedere” tutte le note, e nel calarsi nei panni dei più suggestivi personaggi verdiani - memorabile il Falstaff diretto da Muti visto anni fa per la chiusura di Stagione agli Arcimboldi. Abigaille, con il suo irrefrenabile rimorso, è impersonato invece dalla soprano Liudmyla Monastyrska, assai apprezzata dal pubblico nella cabaletta marziale Ben io t’invenni e nell'impervia parte di donna maledetta, in qualche modo antenata di Lady Macbeth (come d’altronde Nabucco è, se vogliamo, l’abbozzo di Macbeth stesso). Di sicuro effetto il suo canto intimo proiettato verso la platea, quasi fossimo in una sorta di primo piano cinematografico, della diabolica schiava babilonese.
 
Convincente anche il tenore Alexsandrs Antonenko nei panni d’Ismaele, mentre il vecchio sacerdote di Gerusalemme, era affidato a Vitalu Kowaliow, un basso del quale si deve giustificare la dizione, un po’ troppo "internazionale", che ha comunque infiammato gli animi del teatro, specialmente nel II atto alla fine di Vieni, o Levita, preceduto da una solenne melodia affidata ai violoncelli. Per quanto riguarda Fenena, il mezzosoprano Veronica Simeoni ha trovato un giusto apprezzamento nella breve ma bellissima aria che Verdi le riserva.



Tags: Daniele Abbado, Giuseppe Verdi, La Scala di Milano, Nabucco, recensione, Sergio Buttiglieri,
13 Febbraio 2013

Oggetto recensito:

Nabucco, di Giuseppe Verdi, regia di Daniele Abbado

Visto al: Teatro La Scala di Milano, 5 febbraio 2012
 
Prossimamente: in replica ancora 13, 15, 17, 20 febbraio
 

 

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