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TEATRO DANZA

Preljocaj, danza macabra

Un poveraccio entra nel supermercato delle banlieu parigina, ruba una birra dagli scaffali e viene pestato a morte. Un crudo episodio di cronaca contemporanea sublimato dal coreografo francese in Ce que j'appelle oubli. Corpi danzanti mimano la scena mentre un fiume di parole ripercorre l'accaduto, senza pause.


di Sergio Buttiglieri

 


E’ uno spettacolo di sfolgorante cupezza quello che il Ballet Preljocaj ha messo in scena in prima italiana al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia. Il coreografo francese, formatosi con Merce Cunningham e attuale Direttore Artistico del Pavillon noir di Aix-en-Provence, stavolta ci ha spiazzato intrecciando alla sua barbarica danza cerebrale un sottotesto narrativo che implode dentro di noi, scatenando angoscia e indignazione.
 
Lo aveva già fatto in passato: prima con L’Anoure (1996), tratto da La Voix perdue di Pascal Quignard, e più recentemente con Le funambule (2009), ispirato a una poesia di Jean Genet. Questa volta però ha superato se stesso travolgendoci rievocando la vicenda realmente accaduta, di un emarginato della banlieue, massacrato di botte dalla vigilanza per aver bevuto dentro un supermercato una lattina di birra senza pagarla. Angelin Preljocaj ritma le azioni coreografiche e fa muovere i danzatori all’unisono in effetto rallenty di grande fascino, denso di gelida violenza, di silenziosa disperazione, in un luogo extraterritoriale quale è diventato il mall, vero e proprio tempio del consumismo importato dagli Stati uniti, tra le cui pareti va in scena ogni giorno lo spettacolo delle merci: solo lì è disponibile questa  mattanza che diventa metafora, in sfregio delle regole. Protagonista assoluto della scena è il suo scultoreo corpo di ballo che virtuosisticamente si amalgama, come il latte in una salsa, al suono dell’epico personaggio narrante interpretato da Laurent Cazanave.
 
AcP8Vk34wHVwP9ECvjU4bQKaLaTbrKp8lpDn2FYaj9A-1.jpgC’è un unico momento, nella parte centrale dello spettacolo, in cui le tre coppie di ballerini-carnefici, improvvisamente schiariti da forti luci dall'effetto melodrammatico, si svincolano dalla voce angosciante per un magnetico corpo a corpo, denso di sensualità, in cui interagiscono col loro capro espiatorio. Tutto il resto dello spettacolo, giocato a movimenti trattenuti, ci restituisce un palcoscenico immerso in una penombra asfissiante e attraversato a pennellate dalle rifrazioni di Cécile Giovansili-Vissière: un gioco di luci che ben si adatta a questa singolare via crucis, destinata a culminare in una pseudo immolazione in cui il narratore si lancerà a peso morto sui suoi assassini.
 
Il testo di Laurent Mauvignier, Ce que j’appelle oubli, da cui Preljocaj ha preso ispirazione, si rivela di lancinante bellezza, anche dal punto di vista sonoro e mantiene col fiato sospeso fino all’ultima sillaba. E’ la stessa, straniante sensazione d’ansia che si prova leggendo il  recente racconto Profezia, nella raccolta Baci Scagliati Altrove di Sandro Veronesi . In entrambi i testi la narrazione non lascia pause, tutto scorre senza soste in un crescendo di angoscia, che si risolverà solo alla fine della sconvolgente tragedia: per Veronesi di un padre che muore, per Mauvignier di un emarginato che viene soppresso. Un'unica, travolgente frase senza punti e punti a capo ci conduce ineluttabilmente a riflettere sulla nostra società che non lascia spazio a chi non è più in grado di consumare, che gli manchi il denaro o la salute.
In entrambi i casi la soluzione è l'uscita di scena per non compromettere la ruota del consumo perpetuo, in onore di quel Dio P.I.L. dal quale tutti noi abbiamo inesorabilmente imparato a far dipendere le nostre esistenze.



Tags: Angelin Preljokaj, Ballet Preljocaj, Ce que j’appelle oubli, recensione, Sergio Buttiglieri, teatro danza,
02 Maggio 2013

Oggetto recensito:

Ballet Preljocaj, Ce que j’appelle oubli

Prossimamente in Italia: 5-6 maggio, Parma, Teatro Regio; 10 -11 maggio, Cagliari, Teatro Lirico

giudizio:



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