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di Alessandro Spaventa

A-C-U-A: riprova e controlla…


E così, con la recente riforma dei servizi pubblici locali siamo arrivati anche alla privatizzazione dell’acqua. O meglio all’apertura obbligatoria delle porte delle aziende pubbliche che gestiscono acqua, rifiuti e trasporti locali ai privati. Un provvedimento frutto del furore liberista di alcuni e dei potenti interessi di altri, il cui vantaggio per i cittadini (e non gli utenti come amano definirci) è tutto da provare, e dubito che difficilmente potrà essere onestamente provato. Per due motivi, entrambi di buon senso, uno di ordine teorico (anche se il termine è un po’ altisonante) e l’altro di ordine pratico.
 
Quello teorico è che il servizio di fornitura d’acqua è per sua natura, salvo rarissime e fortunate eccezioni, un monopolio e quindi un servizio che viene fornito in un contesto assolutamente non concorrenziale. Logico aspettarsi che se la società che lo fornisce è privata essa si gioverà di tale situazione per ricavare profitti il più elevati possibile. E non si capisce perché i cittadini dovrebbero arricchire qualcuno per usare qualcosa che per definizione (e per la Costituzione) è loro. La scusa che viene utilizzata è che i privati gestirebbero in modo molto più efficiente i servizi di fornitura idrica. Assunto tutto da dimostrare (a meno che non sia un assioma) soprattutto in un contesto regolato e sussidiato come sarebbe quello dell’acqua.
C’è poi il motivo di ordine pratico, dettato dall’esperienza: la privatizzazione dei servizi pubblici non ha sortito effetti brillanti in nessun paese. Attendersi che possa avvenire in Italia vuol dire essere ciechi o in malafede. Basterebbe guardare cosa è successo con Autostrade (un monopolio regalato ai Benetton), o con Aeroporti di Roma, quello che accade con i servizi sanitari forniti dai privati ma pagati dalle Regioni, lo scandalo delle spiagge date in concessione eccetera, eccetera, eccetera…

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Inserito da Alessandro Spaventa - 14 dicembre, 2009 - 13:40


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