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Centri benessere

Viaggio in Bhutan, il regno della felicità

Questo piccolo stato stretto tra Cina e India ha proposto il Gnh, l'indicatore di national happyness, come nuovo strumento per misurare la salute della nazione. Scopriamo come si vive qui in Himalaya, tra re illuminati ma schiavi dell'astrologia, sviluppo sostenibile e abiti tradizionali obbligatori per tutti


di Rossella Bernascone

Quando, in seguito alla morte improvvisa del padre nel 1972, Jigme Synge Wangchuck è salito al trono, era, come tanti coetanei, impreparato e idealista. A differenza dei diciassettenni che qui festeggiavano la Juventus campione d’Italia o si preparavano agli anni di piombo, il sovrano minorenne inventava un concetto che un quarto di secolo dopo avrebbe sorpreso il mondo: al Pil sostituiva il Fil, la Felicità interna lorda, o il Gnh, Gross national happiness. 
  
la guida.jpgIl quarto Druk Gyalpo (Re Drago) della dinastia Wangchuck, insediatasi alla guida del Bhutan nel 1907 al termine della millenaria teocrazia, ereditava un paese che stava lentamente uscendo dal medioevo sotto la forte spinta alla modernizzazione impartitagli dal padre, il quale, poco prima di morire, aveva portato il proprio stato nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il quarto re aveva undici anni quando, nel 1966, il primo generatore elettrico era stato installato a Phuentsholing. Qualche anno più tardi sarebbe apparsa la prima automobile, ma ancora adesso per una fetta della popolazione gli unici mezzi di locomozione sono muli, cavalli e carri. Solo nel 1974 in questo microcosmo chiuso al mondo esterno, schiacciato tra i due colossi asiatici di Cina e India, entrarono i primi turisti. Quell’anno furono in due a visitare il paese; nel 2008, complice anche l’incoronazione del quinto re, sono stati 21.000 gli stranieri che, a gruppi o individualmente ma sempre rigorosamente accompagnati da una o più guide e mai liberi di passeggiare da soli, hanno varcato la frontiera del regno buddista del Drago Tonante. 
 
Attraverso un percorso di formazione, individuale e nazionale, Jigme Synge Wangchuck ha traghettato il suo regno nel presente: nel 1999 ha fatto il suo ingresso in Bhutan la televisione, da cui è bandito qualsiasi programma che stimoli la violenza, nel 2000 è stato aperto il primo internet café nella capitale di Timphu, e da un paio di anni il numero dei possessori di telefoni cellulari sembra destinato a raggiungere percentuali occidentali.
Tra gli obiettivi che il sovrano si era posto c’era anche una transizione alla successione più soft di quella che gli era toccata in sorte. Quindi, alla soglia dei 50, in un paese dove l’aspettativa di vita per gli uomini è di 62 anni (e la mortalità infantile sfiora il 74%), ha formalmente abdicato a favore del primogenito Jigme Khesar, non senza aver prima imposto la democrazia parlamentare a un popolo riluttante, che sostiene di aver accettato le elezioni solo perché gliel’ha ordinato il re. dzong.jpg
 
Tuttavia, prima che la corona venisse posta sul capo del novello Cesare, dovettero trascorrere due anni, perché quel re-padre così moderno da inviare a ogni famiglia una copia della nuova costituzione che autorizza il suo impeachment, governava il paese seguendo i consigli degli astrologi di corte. Nel 1979 aveva sposato le sue regine, ma la cerimonia di nozze si svolse solo nove anni dopo, il 31 ottobre del 1988, giorno più propizio a un matrimonio regale. In un paese dove il nome di ogni nuovo nato – “Lunga vita”, “Desideri soddisfatti”, “L’Illuminato” … – non è dato dai genitori, ma scelto dall’astrologo della comunità, l’incoronazione non può certo avvenire in un periodo che non sia benedetto dalle stelle, in vista di un lungo, saggio e fortunato governo. 
  
Come il buddismo poggia sulle quattro nobili verità, così la crescita del Bhutan poggia su quattro pilastri: il primo è lo sviluppo socioeconomico equo e sostenibile, con istruzione e sanità gratuite per tutti nonostante la povertà del paese (illuminante il racconto dell’anno di volontariato della fisioterapista Britta Das, nel libro Buttertea at sunrise). Il secondo pilastro è la conservazione del territorio: per legge il terreno deve essere coperto di alberi per almeno il 65% (ora le foreste occupano il 72% e solo il 16% della terra è coltivabile). 
 
fallo.jpgIl terzo pilastro è la difesa e la promozione della cultura locale, così lo stesso re che ha imposto libere elezioni ha prescritto anche l’obbligatorietà di vestire il costume tradizionale in pubblico: per gli uomini il gho, una specie di vestaglia corta di influenza tibetana, e per le donne la kira (un pezzo di stoffa avvolta intorno al corpo e fermato da fibbie o da un’alta cintura), sotto un giacchino corto nella stagione fredda; sono abiti trecenteschi che risultano molto pittoreschi per i visitatori stranieri, ma non comodi quanto un buon paio di jeans e un bel maglione, possibilmente di pile, a detta dei giovani autoctoni. Della cultura locale fa parte anche il fallo, che quindi va protetto e incentivato, almeno nelle sue forme artistiche e simboliche. Non è raro vederlo campeggiare sulle facciate delle case e nelle vetrine dei negozi; all’ingresso del monastero Cimi Lhakhang (del 1499) si viene benedetti con un tocco sul capo del “magico fulmine della saggezza” del Lama Drukpa Kunley, ovvero un fallo di legno di dimensioni nettamente sovrumane. La tutela della cultura locale proibisce anche l’acquisto di oggetti che siano più vecchi di cent’anni e punisce duramente chiunque sia coinvolto in simili transazioni. Insomma, se si vuole portare a casa un souvenir bisogna fornirsi del certificato di “novità”, meglio ancora se made in Chinatessitura.jpg
 
L’ultimo pilastro è quello della good governance, le buone pratiche di governo. È in quest’ottica che Jimge Synge ha preteso che la nuova costituzione contemplasse la possibile destituzione del sovrano in caso di malgoverno. Ed è forse proprio per le sue buone pratiche che il Bhutan è stato il primo, e finora unico, paese al mondo a ricevere aiuti internazionali per contrastare gli effetti del riscaldamento globale e proteggersi, almeno parzialmente, dalle rovinose inondazioni che già in passato i suoi 983 ghiacciai e 2.794 laghi hanno causato. 
 
Gli scettici occidentali si sono chiesti come si possa quantificare il successo della politica del Fil. Il governo bhutanese ha preparato una formula matematica che tiene conto di 72 indicatori raccolti nei 9 campi in cui sono suddivisi i 4 pilastri, ovvero: l’uso del tempo, gli standard di vita, il buon governo, il benessere psichico, la vitalità della comunità, la cultura, la salute, l’istruzione e l’ecologia. Tenendo conto che a ogni indicatore si può assegnare un punteggio di 0 o 1 a seconda che la percezione dell’individuo sia positiva (1) o negativa (0), la formula è la seguente: FIL=1- ind.1+ind.2+ind…+ind.7272. 
  
Nel discorso dell’incoronazione il nuovo re Khesar ha affermato: “Quale re di una nazione buddista, è mio dovere non solo assicurarvi la felicità oggi, ma anche creare il terreno fertile da cui potrete procurarvi i frutti della vostra ricerca spirituale e ottenere un buon karma.” Un mondo da mille e una notte buddiste? Certo in questo regno himalayano non è tutto loto e fiori. A riprova di ciò i 108 chorten (monumenti di offerta) che nel 2005 il quarto re ha fatto costruire sul Dochu La (un passo a 3.140 m, da cui chi ha occhi per vedere può scorgere il mitico Shamballa) come atto di espiazione per la perdita di vite umane causata della guerra dei tre giorni contro i militanti indipendentisti dell’Assam, rifugiatisi nelle giungle del Bhutan meridionale. Con l’incremento dell’economia anche il tasso di disoccupazione è cresciuto, arrivando al 2.5%. Nonostante l’acquisto di sigarette e il fumo nei luoghi pubblici sia proibito, e pene molto severe siano previste per la detenzione e l’uso di stupefacenti, i crimini collegati allo spaccio e al consumo di droga sono in aumento.
 
Come pure i litigi famigliari sul controllo del telecomando. In un paese in cui nel 2001 il 45% per cento delle proprietà immobiliari e delle ditte in città era gestito da donne, e il 60% dei terreni rurali era di loro proprietà (dati in crescita); in una nazione in cui, se il coniuge in carica non ha nulla in contrario, si può aspirare a una seconda moglie, ma anche a un secondo marito – e se il coniuge non approva, si va dal giudice e si dichiara se si vuole stare col primo o col secondo, senza avvocati divorzisti – chi terrà in mano il nuovo “fulmine della saggezza”?



Tags: astrologia, bhutan, buddismo, donne, himalaya, monarchia, oriente, Rossella Bernascone, sviluppo sostenibile, Centri benessere,
23 Aprile 2010

Oggetto recensito:

BHUTAN

Ci siamo stati: a novembre 2008, per l’incoronazione del quinto re
Come ci si arriva: in auto dall’India o in aereo con la compagnia di bandiera Druk Air all’aeroporto di Paro, incuneato fra le montagne dell’Himalaya. Bisogna però muoversi con un viaggio organizzato. Ottimi anche i tour operator locali
Quanto costa: da 165 dollari al giorno per persona, in un gruppo di almeno 3 in bassa stagione, a 240 dollari per una persona che viaggia da sola in alta stagione. La quota comprende vitto e alloggio in hotel, trasporti pubblici, l’ingresso a tutti i musei e i monasteri, la guida turistica, per altro obbligatoria. Non comprende le bevande
Superficie: qualche metro quadro più della Svizzera
Popolazione: tra i 700.000 dichiarati dal governo e i 2.300.000 abitanti censiti dal CiaWorld Fatbook. Non è chiaro chi dei due abbia ragione: il governo bhutanese aveva mentito negli anni ’70 per avere una popolazione sufficiente a entrare nell’Onu o sono i distretti centro-orientali che mentono ora per mantenere la supremazia su quelli sud-orientali?
Da leggere: in italiano c’è solo Il viaggio di Tsomo della scrittrice Kunzang Choden, edizioni ObarraO, oltre alle guide turistiche. In inglese, oltre al già citato Buttertea at sunrise di Britta Das, consigliamo Treasures of the Thunder Dragon della regina n. 1, Ashi Dorji Wangmo Wangchuck, che ha viaggiato in tutto il paese per conoscere i sudditi ad uno ad uno; e The Raven Crown: The Origin of Buddhist Monarchy in Bhutan di Michael Aris
Sitografia: si può partire dal sito italiano degli Amici del Bhutan, http://www.bhutan-italy.com, per poi spaziare nei blog di chi c’è stato. Interessanti i siti istituzionali, tutti in inglese
Consigli di viaggio: il Kyichu Lhakhang, uno dei templi più antichi; il Taktshang Goemba, ovvero la Tana della Tigre, monastero arroccato su un dirupo; la Tshogzhing Lhakhang, una meravigliosa scultura nel museo di Paro che illustra le 4 scuole del buddismo mahayana; lo dzong di Punakha; il Palazzo della Grande Felicità, alla confluenza dei due fiumi Mo Chhu e Pho Chhu, uno maschile e l’altro femminile; l’antica Wangdi, la seconda capitale del Bhutan, prima che il piano regolatore la sposti 4 km più a nord, demolendo le strutture di legno e ricollocando gli abitanti in case di cemento, in barba al terzo pilastro

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