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FILM MUSICALE

Da Napoli con Passione

Dopo aver portato le favole calviniane a teatro, l'attore John Turturro ritorna sulle sue origini italiche e dirige una commedia musicale che omaggia la canzone partenopea. Ma che ne dicono gli "omaggiati"? Cediamo la parola a un inviato del luogo


di Dario De Marco

 


turturro-spaghetti2.jpg
 
  
Cchiù luntano me stai
cchù vicino io te sento...
 

E' il distico iniziale di Passione, canzone napoletana del 1934 scritta da Libero Bovio e musicata da Tagliaferri e Valente. Sono parole d'amore per una donna, come usuale, ma potrebbero essere lette anche come espressione di saudade per una città, se messe in bocca a un emigrante di lungo corso. Perciò non abbiamo saputo resistere alla tentazione di prenderne uno di nostra conoscenza e cedere a lui la recensione di questa pellicola. Gli perdonerete una certa inflessione dialettale, che l'emigrante non fa nulla per nascondere, anzi tende ad accentuare quanto più il suo domicilio si avvicina al circolo polare artico.
 
La verità io non lo volevo vedere sto film, mi puzzava di cartolina da lontano, e ancora di più quando ho pensato Certo che sto Turturro ha pigliato proprio l'ingrippo per le radici, dopo le favole italiane a teatro, mo' le canzoni napoletane a cinema. E la compagna mia, che a differenza di me è una scetata, mi ha detto Infatuazione o convenienza?, pare che l'italo-italiano stesse lavorando proprio poco come attore, dice che aveva anche proposto ai Coen di rimettere mano al personaggio di Jesus Quintana del Grande Lebowski, ma quelli niente. Quindi non lo volevo vedere, Passione, poi mi sono detto ma sì, facciamoci quattro risate, con lo stesso fondato pregiudizio con cui iniziai Napoli siamo noi di Bocca. In più mi trovavo a Napoli per cavoli miei e quindi quale occasione migliore che vederlo in loco.
 
Già siamo partiti male che abbiamo dovuto attraversare mezza città per beccare una sala dove c'era, uno si aspetta che nel weekend in cui esce, nella città di cui si parla, minimo minimo sta in una ventina di sale. Invece no, prima sorpresa, ma perché rispetto a quando ci vivevo io sono proprio un sacco di cinema che hanno chiuso, ma questa è un'altra storia, o forse no. Ci sediamo in una saletta grande quanto il salone di casa dei miei, qualcuno prima o poi nel corso della proiezione farà la classica battuta Ué, Marì, passami il telecomando. 
 
I signori PASSIONE_-_MBARKA_BEN_TALEB.jpgdavanti a noi cercano il posto, dicono Fila E numeri 6 e 7, ma questi sono 11 e 12, vabbè mettiamoci lo stesso, tanto non viene nessuno, poi se arrivano gli diciamo di andare di là. Dico Il posto numerato non ha fatto breccia nel cuore dei napoletani. Ma la compagna mia che a differenza di me è sabauda centopercento dice Se dovessi dire una parte del corpo non direi proprio cuore.
 
L'inizio è altalenante, sui titoli di testa c'è la straziante Carmela di Sergio Bruni (tu mo' stai llà tu rosa preta e stella...), bellissima voce, però chiamatemi fissato ma io lo sgamo subito dalla pronuncia se uno non è di Napoli, infatti è Mina. Poi vengono gli Zezi con un loro classico, poi c'è Turturro che ci introduce il film e ci dice Seguitemi per le vie di Napoli. Al che il tizio in terza fila lo prende alla lettera, si alza e se ne va fuori, ma non ha capito che parlava agli americani. Poi arrivano los prezzemolos Avion Travel che duettano con la portoghese Misia in Era de maggio, un poco sforzata (mi ricordo una versione, sussurrata, di Battiato sul lettino dello psicanalista).
 
Il film fa una impennata quando monta spezzoni di interpretazioni cantate da gente qualsiasi in mezzo alla via: si intuiscono giorni di girato, ma si capisce che non è e non vuole essere un documentario su Napoli, né sui napoletani, e neanche sugli interpreti, che tranne rari casi compaiono giusto il tempo di cantare il pezzo. In realtà non è e non vuole essere un documentario, ma solo una compilation di cover rivestita di immagini. Turturro a un certo punto spiega com'è nata la sceneggiata: gli attori venivano tassati meno dei cantanti, allora i cantanti iniziarono a sceneggiare le loro interpretazioni per beneficiare di questo regime fiscale. La stessa cosa si può dire di Passione, dove la molla non è l'aliquota ma la differenza tra mercato discografico e mercato cinematografico: cioè, quanto (poco) avrebbe venduto il cd?
 
La verità però a un certo punto sto film mi inizia a piacere. Forse è quando sotto a 'O sole mio mi pare di percepire una specie di basso continuo elettronico, invece è solo il telefonino della vecchia davanti a noi che squilla, e che quando finalmente se ne accorge non solo non muore dallo scuorno ma risponde pure e si fa i suoi 5 minuti di chiacchiera. Forse è quando scopro questo Gennaro Cosmo Parlato con gli occhi truccati, una specie di Antony & the Johnsons nostrano, che si sbatte sulla spiaggia cantando Maruzzella con pacchianeria consapevole (la differenza con la tamarraggine neomelodica è che quelli sono sopra le righe senza saperlo). Forse è proprio nel punto più basso di tutto il film, Massimo Ranieri e Lina Sastri che sceneggiano e stroppéano Malafemmena in una scenografia da telenovelas brasiliana.
  
passione_-fiorello_-_john_turturro.jpgSicuramente il punto più alto è invece James Senese che fa Passione, chitarra e voce come nella migliore tradizione dei non urlatori alla Murolo, però senza azzeccare una nota che sia una, come nella migliore tradizione dei desafinados alla Joao Gilberto. Una cosa da squagliarsi. Segue versione strumentale col sax (indimenticabile il T'o scass 'nfaccia 'o sassofono!, dal film No grazie il caffè mi rende nervoso). Jamesiello poi parla pure, e dice una cosa fantastica: Io fino a che non mi guardo allo specchio me lo scordo questo fatto della pelle, tanto è forte sta cosa di Napoli dentro di me.
 
Così, mentre la gente nel cinema fa bordello, commenta, corregge, contesta, ma alla fine si diverte, il film mi acchiappa e non mi lascia più. Tra un Peppe Barra che fa le solite acrobazie con la voce, su Don Raffaè di De André (quasi e dico quasi ai livelli della versione tradotta in napoletano di Bocca di rosa) e l'inevitabile Tammurriata nera; tra un Fiorello con tanto di turbante che canta Caravanpetrol, questo era uno dei pregiudizi miei più forti e invece è giustissimo, lo spirito di Carosone è in lui; tra la piacevole conferma di Fausto Cigliano, apollineo (Catarì) e la piacevole scoperta di M'Barka ben Taleb (ma non era quella che cantava con Bennato nei concerti di Taranta power?)
 
Mi viene a mente quello che ha scritto qualche giorno fa Gino Castaldo su Repubblica, lamentando le assenze: Edoardo Bennato, Peppino Di Capri, Roberto De Simone, Nino D'Angelo, Renzo Arbore, Pino Daniele (falso). Ma il gioco del “chi c'è chi non c'è” è facile quanto inutile, per esempio a me mi sembra assurdo che non ci siano pilastri come Eugenio Bennato, Daniele Sepe, Marco Zurzolo, Antonio Onorato, Enzo Gragnaniello, Antonello Paliotti, Teresa De Sio, Mauro De Leonardo, 'o Lione, Fausta Vetere. Qualcun altro avrà trovato imperdonabile la mancanza di Gigi D'Alessio, Maria Nazionale, Ciro Ricci, Domenico Modugno, Mario Merola.
 
Evidentemente però io e Castaldo stiamo agli antipodi, visto che lui mette Malafemmena tra i momenti migliori e schifa Passione di Senese, visto che lui finisce citando Carosello Napoletano di Ettore Gianninni (1954) mentre a me mi piace ricordare No grazie il caffè mi rende nervoso (1982), un giallo che nasconde un film comico che nasconde una riflessione su Napoli sospesa tra i due mali della modernità e della conservazione.
 
Piuttosto a me quello che mi dispiace è che come al solito quando si parla di canzone napoletana si fa riferimento al solito periodo della canzone classica d'autore, trascurando da un lato i canti popolari e le villanelle PASSIONE_-_RAIZ.jpgrinascimentali (ci sta però il Canto delle lavandaie del Vomero, XIII secolo, in una versione da sogno sotterraneo), dall'altro le rielaborazioni moderne della tradizione, anche se non manca il Raiz (Nun te scurdà, con Pietra Montecorvino) e a un certo punto compare addirittura Enzo Avitabile e i percussionisti che suonano le botti. Ma non si può avere tutto.
 
Il fatto è che il siculo-americano Turturro sarà pure candido come dice Castaldo, ma è stato guidato alla grande dal genius loci di Federico Vacalebre, storico critico musicale del Mattino. E quella che appare dal film sarà pure una Napoli senza. Una Napoli senza oleografia del Vesuvio e del golfo e del pino in primo piano, ma anche una Napoli senza la cartolina rovesciata di Secondigliano o dei vasci. Una Napoli fatta di ambientazioni intermedie, vicoli scrostati e chiese barocche, che trascura le fughe in avanti come la metropolitana dell'arte contemporanea o la Città della scienza. Una Napoli senza rifiuti e roghi, una Napoli senza camorra (ma c'è un'agghiacciante spezzone di repertorio con Cutolo che “ragiona” e sghignazza).
 
Sarà pure una Napoli senza, ma è appunto una Napoli, una delle tante interpretazioni, delirante e allucinata come qualsiasi altra, che si possono dare di Napoli. Cioè dell'universo.

 
Napul'è tutto 'nu suonno
e 'a sape tutt'o munno
ma nun sann'a verità

 


Tags: canzone napoletana, Dario De Marco, Fabrizio De Andrè, Federico Vacalebre, Fiorello, gino castaldo, James Senese, john turturro, Massimo Ranieri, napoli, No grazie il caffè mi rende nervoso, passione, Raiz, recensione, roberto murolo,
29 Ottobre 2010

Oggetto recensito:

Passione di John Turturro, Italia USA 2010, 90 m

 

giudizio:



6.1884
Media: 6.2 (100 voti)

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